Legislazione
Untold#1: il lobbying visto da Fabio Bistoncini (FB & Associati)
Fabio Bistoncini è fondatore della FB & Associati, una delle più importanti società di advocacy e lobbying italiane, di cui attualmente è Amministratore Delegato. Docente in master e corsi di formazione, ha collaborato con la l’Università di Udine e Gorizia e con l’Università di Milano tenendo seminari sul ruolo dei gruppi d’interesse in Italia e sull’attività di lobbying. Dal 2016 ricopre l’incarico di docente a contratto presso l’Università di Milano per l’insegnamento “Gruppi d’interesse e lobbying”. Socio SISP (Società Italiana di Scienza della Politica), è tra i promotori dello Standing Group sui gruppi d’interesse dove, nel corso degli anni, ha proposto paper, ricerche e svolto il ruolo di discussant. Autore di numerosi articoli, ha scritto un saggio, Vent’anni da “sporco” lobbista.
Cosa significa lobbying e perché non deve essere considerata una pratica opaca come spesso invece avviene?
Il lobbying è il trasferimento di istanze da parte di gruppi di interesse al processo decisionale. È un meccanismo che caratterizza una democrazia evoluta perché il decisore, per formarsi un’opinione che possa essere rappresentativa, consulta i punti di vista degli attori portatori di interesse. Proprio perché è uno strumento alla base del funzionamento della democrazia, il lobbying non deve essere considerato una pratica opaca. Se le decisioni pubbliche non dovessero dipendere dalle istanze dei gruppi di interesse, infatti, di chi dovrebbero tenere conto?
Qual è la condizione attuale del lobbying in Italia e in Europa?
In Italia il lobbying è riconosciuto di fatto ma non di diritto perché manca una disciplina organica della materia. In Europa invece questo è riconosciuto in entrambi i casi tramite l’adesione delle lobby ad un registro volontario, anche se nella prassi l’iscrizione al registro è diventata obbligatoria perché Parlamento e Commissione stabiliscono l’accesso alle fasi decisionali solo per quei gruppi che sono effettivamente registrati.
Quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra lobbying e politica?
Dovrebbe essere un rapporto fondato in primo luogo sulla trasparenza. In una democrazia evoluta, infatti, gli interessi dovrebbero emergere nell’arena di policy in modo trasparente sulla base di uno scambio di informazioni che i gruppi di interesse forniscono allo scopo di far prendere decisioni di policy in grado di tenere conto della platea degli interessati. Se nel processo decisionale i gruppi coinvolti sono molti, vuol dire che la platea di informazioni a disposizione del decisore pubblico è ampia, pertanto ritengo che la decisione pubblica migliore sia quella che sceglie di prendere in considerazione le istanze di gruppi di interesse molteplici.
Come si incentiva la pratica del lobbying trasparente?
Si incentiva facendo emergere il lobbying dal suo cono d’ombra attraverso l’istituzione di un registro unico per i gruppi di interesse. Un registro comune, infatti, consentirebbe di superare il patchwork normativo che in Italia abbiamo a livello regionale, ma anche di garantire due elementi fondamentali per incentivare il lobbying trasparente, vale a dire delle corsie di accesso preferenziale per i lobbisti nei confronti dei decisori e la disponibilità di materiali in corso di elaborazione (le cosiddette bozze di lavoro che si preparano a diventare policy) da consultare senza doverli andare a ricercare.
Come incide un’attività di lobbying trasparente sull’economia di un Paese?
Il lobbying di per sé non è un fenomeno economico, perché non tutti i gruppi di interesse hanno interessi economici (come ad esempio nel caso delle associazioni dei consumatori e dei gruppi ambientalisti), quindi non c’è una relazione diretta fra lobbying ed economia. Tuttavia è vero anche che molte lobby hanno interessi economici e che una maggiore competizione di questi interessi crea un impatto positivo sul processo decisionale. Di conseguenza, con norme predisposte in maniera più trasparente, il lobbying può avere ricadute positive sull’intero sistema coinvolto dal processo decisionale, quindi anche sull’economia.
Quali sono gli effetti dell’iscrizione dei gruppi di rappresentanza al Registro europeo?
Meno i gruppi si iscrivono al Registro, meno c’è trasparenza, ma questo è un fenomeno che in Europa si sta superando. Il problema è un altro: in Italia la cultura del lobbying manca e la sua disciplina è un tassello importante per sviluppare l’incentivo a sopperire a questa mancanza. Spesso infatti gli interessi non sanno organizzarsi all’interno della società e questo provoca degli svantaggi per certi cluster sociali. Per esempio, la famosa decisione “Quota 100” va a vantaggio di una platea sociale ben definita e mentre era in cantiere, proprio a causa della scarsa cultura italiana sul lobbying, i giovani non si sono saputi organizzare per poter fornire una chiave di lettura di questa normativa che tenesse in conto il loro interesse. Questo accade perché da noi si pensa che il lobbying sia qualcosa a metà fra una pratica mafiosa e il gioco di potere, ma non è così.
Come pensa che un’associazione giovanile potrebbe esercitare azioni di lobbying a favore delle nuove generazioni?
Organizzandosi. Il che non significa fare un sindacato dei giovani, ma piuttosto formare un hub composito che proponga delle policy. Questo richiede uno sforzo molto consistente, perché per realizzare delle proposte efficaci occorre individuare delle esigenze fondate su dati e analisi che possano essere calate e trasmesse all’interno del processo decisionale. È necessaria inoltre un’attività di advocacy che sia in grado di far emergere un certo tema di policy attraverso mezzi di comunicazione vecchi e nuovi a sostegno delle nuove generazioni, ma che guardi anche alla composizione sociale nella sua interezza.
Alice Dominese
Membro della Redazione e del Team Public Affairs di Yezers
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