Famiglia
Sentenza di Trento, la GPA
Nel mondo femminista, e in generale in quello della riflessione sul tema del diritto, ha fatto discutere un recente provocatorio articolo della celebre filosofa e femminista Luisa Muraro, dal titolo «Una di meno». L’intenzione caustica era evidente già da qui: il titolo faceva il verso al recente movimento Nonunadimeno che ha organizzato la manifestazione tenutasi l’8 Marzo, coincidente con la Festa Internazionale della Donna, come internazionale è stata la stessa manifestazione.
L’articolo, comparso il 3 Marzo nel sito della Libreria delle Donne di Milano, luogo di divulgazione delle teorie femministe, si scagliava contro la recente Sentenza del Tribunale di Trento la quale si pronunciava in favore della paternità di una coppia gay. Tale decisione comporta, salvo diverse disposizioni della Cassazione, la trascrizione di un certificato di nascita in cui scompare la madre che ha condotto la gravidanza svuotandone, secondo la Muraro, di spirito la maternità e riducendola, par di capire, a strumento.
Eppure queste argomentazioni sottovalutano, come rileva Wendy Mcelroy nel libro Libertà per le donne, il tema delle opzioni di scelta e dell’autodeterminazione.
La maternità surrogata regolamentata può essere suddivisa, per semplicità, in due tipi: altruistica e commerciale.
Ad oggi anche i Paesi che presentano una disciplina legislativa favorevole alla maternità surrogata non la tollerano quando a fini di lucro (con l’eccezione dell’India). Accade così che le diverse legislazioni abbiano trovato soluzioni differenti per regolamentare la pratica: in Inghilterra si criminalizza la gestazione per altri se avviene a fini di lucro, ma non si considera nullo un accordo privato fra le parti avente basi solidaristiche e non viene escluso un compenso per la madre unicamente qualora la somma risulti limitata alle spese sostenute; alcuni Paesi degli Stati Uniti, fra cui il New Hampshire, l’Arkansas e la Virginia ritengono legittimi tali accordi sulle medesime basi, sebbene sia prima necessaria l’approvazione da parte delle autorità giurisdizionali, mentre in altri sono attive già dagli anni ‘80 organizzazioni private di intermediazione, come la INCY di New York.
La questione di cui spesso si sente discutere è proprio la natura del compenso. La donna che si offre come surrogata riceve, comunque sia, una somma in denaro; la maternità surrogata su basi altruistiche vera e propria avviene nel momento in cui una sorella si presta a condurre una gravidanza per conto della moglie di un fratello nel caso in cui quest’ultima fosse impossibilitata, o quando, come avvenuto l’anno scorso nel Regno Unito per Kyle Casson, la propria madre decide di ospitare in grembo il nipote. Se non vi sono gradi di parentela o di amicizia, perché si passa da un’agenzia di intermediazione, la situazione pone invece altri interrogativi che sono, poi, quelli danno apparentemente ragione di opporsi a Luisa Muraro.
E’ legittimo notare che l’intermediazione di un’agenzia prevede una transazione finanziaria in cui una coppia od un/a single paga degli agenti per una prestazione, fra cui la gravidanza. Oggetto di interesse della madre surrogata è evidentemente il compenso, non avendo mai avuto prima alcun rapporto con i committenti, e quello dei futuri genitori il bambino. Da questo ne consegue che la situazione prevede due rapporti di forza economici sostanzialmente differenti o, quantomeno, uno maggiore per i committenti.
Luisa Muraro qui potrebbe sostenere che la situazione economica di colei che si presta a condurre la maternità per conto altri metta questa, di fatto, in una situazione in cui le opzioni di scelta sono scarse e per cui sparire dal certificato di nascita è il risultato finale delle scarse opportunità che la vita le ha riservato.
In relazione a questo punto sempre Wendy Mcelroy fa notare, tuttavia, come quasi certamente nemmeno l’operaia che lavora in una fabbrica – e di certo non esprime quel lavoro creativo che secondo Marx era il più adatto alle caratteristiche della persona umana – ha avuto un’ampia gamma di scelte, adattandosi a quel che le poteva essere offerto. L’operaia lavora inoltre con parti del corpo, come allo stesso modo la gestante offre il proprio.
Restano pertanto tre ragioni per non essere preventivamente a sfavore della maternità surrogata nonostante l’importante opinione di Luisa Muraro.
In primo luogo, Luisa Muraro sembra sottovalutare l’autodeterminazione della donna che sceglie di fare la gestante per conto terzi. La donna canadese che si è resa disponibile in qualità di gestante l’avrà fatto informata di cosa prevedeva la giurisprudenza canadese e senza pretesa di visita del nascituro o di essere trascritta come madre nell’atto di nascita. La scelta può essere stata dettata dalle sue necessità economiche, ma in questo caso il nocciolo della questione è la bassa offerta di alternative e non è restringendole ulteriormente che una persona potrà sollevarsi dalla classe a cui appartiene per estrazione sociale.
In tal senso è forse meglio spostare il problema sull’assenza di opportunità, che non consentono una piena autodeterminazione, che bandire una possibile scelta.
In secondo luogo, va fatto notare che si sono già verificati casi in cui durante o dopo la gravidanza la gestante ha avuto ripensamenti, chiedendo la nullità del contratto.
Nello stesso caso Baby M, che salì alla ribalta dei media statunitensi a metà degli anni ‘80, il giudice Sorkow, il quale comunque si trovò in favore del padre biologico contro la madre surrogata, non mancò di sottolineare che «La madre surrogata non prende mai una decisione volontaria o informata, perché chiaramente qualsiasi decisione che precede la nascita è non informata» in quanto ella non può conoscere anticipatamente il proprio stato emotivo e sentimentale durante e dopo il periodo gestazionale.
I sistemi anglosassoni prevedono, nei casi in cui la madre surrogata volesse annullare il contratto, che il giudice tenga conto dell’interesse della creatura venuta al mondo, facendo passare l’accordo in secondo piano. Così un altro celebre caso, quello di Re Evely, verificatosi in Australia, vide dato l’affidamento alla madre gestante.
Se questa è la storiografia dei casi noti, il timore che la madre scompaia anche qualora non lo voglia non c’è.
In terzo e ultimo luogo, il punto vero è la forma che si vorrà dare a tali contratti. Se però dei contratti vi sono, possiamo auspicare che il minore rischio riduca nel tempo quelle situazioni in cui la loro assenza crea reali condizioni di schiavitù, le quali – ricordiamolo – implicano la cessione di ogni personale condizione morale e fisica a qualcun altro.
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