Legislazione

Sei anni dopo il caso Englaro non c’è ancora una legge da paese civile

9 Febbraio 2015

Cari Stati Generali,

Il 9 febbraio di sei anni fa a soli 39 anni moriva Eluana dopo una lunga battaglia del padre Beppino Englaro. Una vicenda che lacerò i cuori, che creò barricate, che divenne battaglia ideologica, che  fece alzare il velo su vite differenti, su famiglie dignitose impegnate a vivere in un territorio e in un ambiente dove il vivere è difficile.

Dopo tanti anni cosa è rimasto? Il lavoro delle associazioni impegnate nei propri territori a sostenere le famiglie in una lotta impari per i propri cari, una data che segna il lutto di una famiglia, una giornata che il 9 febbraio dovrebbe celebrare una condizione che coinvolge migliaia di persone, una battaglia che si è arenata per chi voleva il cosiddetto testamento biologico. La libertà di scelta e il morire bene sono uscite dalle priorità dell’agenda parlamentare, mentre sul diritto di cura si approfondiscono percorsi clinici e di ricerca,  modelli territoriali in essere, auspicandone migliori e egualmente diffusi. Ma anche il “vivere bene quando si convive con la malattia” è uscito dalle priorità politica. Non fa più audience, non interessa. Come non è prioritaria la disabilità popolata da cittadini di un mondo parallelo e pertanto destinato ad altri diritti; che sarebbero gli stessi dei cittadini comuni e che rientrerebbero nelle prerogative della convenzione Onu sulla condizione delle persone con disabilità, osannata, sventolata, ratificata ma non applicata.

Ci sarebbe materiale per un bel film: tanti attori, tante comparse, un pubblico numeroso. Manca una regia. Ci vorrebbe un altro “Caso Eluana” per riparlare degli stati vegetativi, una famiglia Schumacher disponibile a combattere per i diritti del proprio caro, un politico di rilievo che abbia qualcuno in coma e che quindi senta su di se l’ingiustizia  personale che rappresenta l’ingiustizia comune, quella degli altri. Ma la politica dovrebbe abbracciare il tema per un dovere civile e non per un fatto personale. Coinvolgere i non coinvolti è complicato e,  se non si è coinvolti, difficilmente si sente l’urgenza di qualcosa che forse può aspettare. Non è possibile smettere di respirare per chi vuole vivere e non si può aspettare di poter vivere o anche di “morire bene” che poi sono le due facce della stessa medaglia. E’ vero, ci sono tanti problemi: la crisi economica, la disoccupazione, la nuova povertà, restare o uscire dall’euro. Ma uscire dal coma si può e anche vivere meglio è un dovere sociale.

 

Fulvio De Nigris

direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma

Gli amici di Luca

nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna

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