Legislazione
Scuola e giustizia: sui dossier decisivi si vede la debolezza del renzismo
Una due giorni da dimenticare, difficile da digerire, per il Renzismo di governo e per i suoi volonterosi ed entusiasti corifei. O meglio: sarebbe difficile da dimenticare se qualcuno, in modo credibile e costruttivo ricordasse a tutti qual è lo scopo della politica e a questo governo quali sono gli obiettivi che ha dichiarato di voler perseguire. Cambiare l’Italia radicalmente e in meglio, perché questa è #lavoltabuona, o no? Ora, su due temi caldi e decisivi, su due nodi irrisolti di lungo periodo nel nostro paese, su due questioni su cui si fonda la nostra credibilità e gettano le basi le radici della crescita di una società, in questi due giorni la maggioranza di Matteo Renzi, il suo governo e la sua strategia hanno incassato due sconfitte politiche che vanno registrate, analizzate e messe a reddito per il futuro. La scuola e la giustizia, dunque.
Ieri il primo trauma, consumato sulla scuola. Dopo sei mesi di annunci, promessi e tweet, dopo sei mesi di tempo per mettere insieme una riforma come si deve, si è passati in poche ore da un decreto legge a un disegno di legge da proporre alle camere, per poi scendere ancora a delle semplici “linee guida” da approvare in Consiglio dei Ministri. Il non-detto di questa due giorni, ciò che viene accennato con molta discrezione è che forse per il decreto non ci fossero i requisiti d’urgenza, e che la sostanza costituzionale dello stesso non tenesse. Eche quindi gli uffici del Presidente della Repubblica hanno lasciato intendere che era meglio fermarsi e valutare altre vie. Di qui la volontà del governo – o meglio di Renzi, non certo della ministra competente Giannini – di “ridare centralità al parlamento” con un disegno di legge, poi arretrato ulteriormente a proposta di linea guida. Poco, davvero poco, per un settore chiave della strategia politica e comunicativa di Renzi che – lo ricordiamo tutti – proprio da una scuola cominciò il suo viaggio da premier.
Il secondo trauma si consuma oggi, sul terreno minato della giustizia. All’interno di un approccio tutt’altro che sistemico, che invece di riformare radicalmente la giustizia italiana punta ad allungare i termini di prescrizione invece di rendere più celeri ed efficaci i processi, il governo viene sconfitto dalle correnti del Pd (quelle che dovevano essere rottamate per sempre, Renzi dixit) e di altri pezzi di maggioranza. Ci sono pezzi di maggioranza che non hanno voglia di una giustizia efficiente, dunque, o non hanno interesse a intestarsi una riforma che allunga i tempi di prescrizione rendendola più improbabile. È vero, ma è anche vero, e resta più importante, che l’intero approccio alla questione-giustizia che riguarda il nostro paese è per il momento profondamente asistematico e rifiuta di intervenire sui nodi veri, e più spinosi, del problema. Andrebbe infatti riformato l’ordinamento, reso più veloce il processo e reso più effettivo il controllo sulla produttività dei magistrati. Andrebbero liberate le aule dei tribunali di molte incombenze inutili, di reati di poco conto e di illeciti di minima entità. tutte cose che impongono idee chiare, alleanze solide, e nessuna paura di farsi nemici tra i togati. La stessa – simbolicamente positiva, sia chiaro – introduzione della responsabilità civile attribuendo il potere di decisione ad altri magistrati e senza una modifica profonda dell’ordinamento nel suo complesso sembra destinata a consentire molti annunci che non riusciranno, però, a generare concreti risultati di maggior giustizia per i cittadini. E lo stesso vale per i tempi della prescrizione: perché essere processabili in eterno non è certo una conquista di civiltà.
La due giorni appena passata, insomma, rivela una volta di più una strutturale debolezza di questo approccio alla politica, e di questa fase della politica italiana. Non basta l’assenza di avversari, o il tentativo di suicidio in diretta che la Lega sta perseguendo per mano di Flavio Tosi nell’unica regione che era sicura, cioè il Veneto, per cancellare i segni di una fragilità strutturale di cui Renzi e i suoi devono assolutamente farsi carico. Cercando competenze vere, alleati solidi nella società e in politica, interessi invece da rappresentare nel lungo periodo, invece di inseguire sempre solgan efficaci nel breve. Altrimenti, al di là di tutti i proclami, sarà proprio in questo affannoso corto respiro – al di là di tutti i patti e di ogni volontà retroscenistica – che sarà facile scorgere le parentele con la politica della Seconda Repubblica. Renzi ha dimostrato, dopo tutto, che fare qualcosa si può. La fase due, la più importante, deve puntare a dimostrare che si può fare anche bene, e pensando agli anni che verranno, non ai tweet e ai sondaggi, che peraltro passano in fretta di attualità.
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