Legislazione
Ai ricercatori rimpatriati non pensano nemmeno “i migliori”?
Da quasi vent’anni sono in vigore in Italia politiche di agevolazione fiscale volte a sostenere il cosiddetto rientro dei cervelli, il ritorno in Patria di uomini e donne altamente qualificati nei loro settori lavorativi. Esistono attualmente due regimi di agevolazione, uno per i lavoratori rimpatriati del settore privato e uno per i docenti e ricercatori in università e centri di ricerca, il secondo leggermente più vantaggioso, per compensare gli stipendi generalmente più bassi e il gap con la negoziabilità stipendiale del settore privato. Il DL crescita della primavera 2019 ha ulteriormente potenziato i due regimi di agevolazione fiscale, prevedendo anzitutto un periodo di beneficio iniziale più lungo (sei anni) e introducendo inoltre delle misure cosiddette di “radicamento”, cioè la possibilità di godere ancora più a lungo (fino a tredici anni) delle agevolazioni per chi, rientrato dall’estero, acquisti casa e/o faccia dei figli in Italia. Le misure di radicamento sono volte ad evitare il fenomeno, purtroppo documentato, dell’emigrazione di ritorno, cioè dei casi in cui lavoratori altamente qualificati rientrano in Italia per qualche anno, giusto il tempo di godere dei benefici fiscali, per poi ripartire.
Il potenziamento previsto dal DL crescita 2019 riguardava tuttavia inizialmente soltanto chi fosse rientrato in Italia a partire dall’anno 2020. Questo almeno fino alla Legge di Bilancio dell’anno scorso, dicembre 2020: un emendamento a firma Giarrizzo (M5S) / Ungaro (IV) ha infatti dato la possibilità di godere dei benefici di radicamento anche a chi fosse rientrato prima del 2020 dietro pagamento di un piccolo tributo. Tutto bene direte voi…se non che…L’EMENDAMENTO HA TAGLIATO FUORI DALLA POSSIBILITA’ DI ESERCITARE QUESTA OPZIONE I DOCENTI E RICERCATORI, INCLUDENDO SOLTANTO I LAVORATORI DEL SETTORE PRIVATO. Incredibile, no? Dallo scorso dicembre, che so, un calciatore o un manager di una multinazionale, il cui stipendio si presume già sufficientemente pingue, può pagare un piccolo obolo (10% o 5% del reddito oggetto del beneficio dell’anno precedente, a seconda del numero dei figli) e continuare a godere di un significativo sconto sull’IRPEF per altri sei, otto o nove anni. Un ricercatore che guadagna sì e no 1.800 euro al mese, o un medico impegnato in prima linea nella lotta al COVID invece non può. Non solo: un ricercatore che lavori per una casa farmaceutica privata, può optare, un ricercatore che lavori per un’Università pubblica, no.
La cosa è palesemente assurda, la lettura più caritatevole è che i redattori dell’emendamento si siano semplicemente “dimenticati” di inserire il riferimento all’articolo di legge che regola i benefici per docenti e ricercatori, che, come accennavo sopra, è diverso da quello riferito ai lavoratori del privato. Ma se quest’assurdità non bastasse, eccone altre. Da un anno a questa parte stiamo lottando strenuamente perché questa ingiustificata disparità di trattamento venga sanata. Diversi ricercatori e ricercatrici, sentendosi trattati a pesci in faccia, stanno già facendo le valigie per ripartire, in molti casi portandosi dietro finanziamenti milionari dell’Unione Europea che andranno a utilizzare in altri Paesi, dove sperano di finire meno vilipesi rispetto a quello in cui avevano inizialmente deciso di ritornare. La scena che si è ripetuta ormai ben tre volte è sempre la stessa: riceviamo grandi rassicurazioni e dichiarazioni di supporto da politici di tutti gli schieramenti, dal ministero che ci rappresenta (MUR) e praticamente da chiunque venga a conoscenza di questa vicenda. Poi l’emendamento che sanerebbe la situazione viene presentato in pompa magna e firmato da diversi gruppi, dandoci sempre a intendere che la cosa è fatta…finché all’ultimo qualche oscuro funzionario del MEF decide di far saltare tutto, o almeno così ci dicono. È successo con il Decreto Sostegni, poi con il Decreto Sostegni Bis, da ultimo con il Decreto Fiscale, dove aspettiamo lieti la trombatura nella serata di domani (lunedì 29/11). Per carità, il nostro emendamento è sempre in buona compagnia nel cestino dei rifiuti e vengono sempre addotte ottime ragioni tecnico-formali per l’impossibilità di approvarlo in quella sede (viene da chiedersi da dove arrivassero ogni volta le grandi rassicurazioni della vigilia, a meno che non esistano in realtà uno, nessuno, centomila MEF diversi che a seconda dell’umore cambiano come banderuole…sempre la sera prima…chissà).
L’emendamento risolutivo verrà presentato di nuovo alla Legge di Bilancio nei prossimi giorni, chissà che non sia la volta buona, ma francamente abbiamo perso la speranza. Ancora più avvilente è stato sapere che un gruppo al Senato ha intenzione di presentare un emendamento che ESTENDEREBBE ANCORA DI PIU’ LA PLATEA DEI BENEFICIARI DELLE AGEVOLAZIONI DEL SETTORE PRIVATO, rimuovendo il requisito dell’iscrizione all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero), ma non garantisce di farsi carico della segnalazione come prioritario dell’emendamento che estenderebbe le agevolazioni a noi docenti e ricercatori rimpatriati, che dunque risulteremmo, come si suol dire, cornuti e mazziati.
Ad essere sinceri, di tutta questa vicenda non abbiamo capito molto, se non che i nostri amici rimpatriati del settore privato hanno sponsor potenti e lobbisti di professione dalla loro parte mentre noi, come mi disse candidamente un deputato, se avessimo avuto le entrature giuste per risolvere questa situazione adesso, probabilmente non avremmo neanche avuto bisogno di espatriare prima. Capito no? Fa specie che le istituzioni che dovrebbero rappresentarci, come la CRUI (Conferenza Rettori Universitari Italiani) e il CUN (Consiglio Universitario Nazionale), siano state estremamente tiepide su questa faccenda. L’anno scorso il CUN ha persino espresso parere sostanzialmente positivo sulla Legge di Bilancio, senza essersi evidentemente accorto del fatto che una coorte importante di persone che loro dovrebbero rappresentare sono state trattate come lavoratori di serie B.
La lezione che ci sembra di aver imparato ad oggi è che, quando si tratta di fare discorsi roboanti sull’importanza della ricerca, sui nostri ragazzi geniali che emigrano e sull’importanza di attrarre capitale umano sono tutti in prima linea. Quando si scende sul pianeta Terra e si tratta di allentare i cordoni della borsa per sanare un’ingiustizia incomprensibile che ha preso di mira proprio i ricercatori, tutto si fa complicato, tecnicamente delicato, oneroso, problematico quanto alle coperture ecc. ecc. Strano che l’anno scorso, quando l’emendamento per agevolare il settore privato è costato 147 milioni di Euro solo nel primo anno nessuno abbia battuto ciglio. Il nostro per il primo anno di milioni ne costa appena 1,5…ma evidentemente l’onerosità non è una questione matematica, ma di potere.
Saremmo lieti di venire smentiti tra qualche settimana, quando si voteranno in Senato gli emendamenti alla legge di bilancio, ma è più probabile che ci faremo semplicemente invitare a una cena di consolazione dagli amici rimpatriati del settore privato, congratulandoci con loro per avere, diversamente da noi, le “entrature giuste” (cit.).
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