Legislazione

Referen-zum-pà-pà

3 Dicembre 2016

Se c’è una cosa che a noi italiani riesce particolarmente bene, beh, quella è trasformare ogni argomento – pure il più serio – in una sorta di tragicommedia. Una riforma costituzionale, che porta con sé la modifica di 47 articoli della Carta su cui poggia tutta l’architettura istituzionale del Paese e della Repubblica, non capita di frequente. Proprio no. E, al di là della retorica, incarna un passaggio storico. Quasi epocale. Sicuramente da vivere in piena coscienza. E con cognizione di causa.

Chè se nell’immediato Dopoguerra, gli italiani – impegnati a rialzarsi come meglio riuscivano dalla carneficina del secondo conflitto mondiale – potevano anche non conoscere, nel dettaglio, il testo nato dal confronto dei Padri Costituenti, al tempo della Rete, dell’informazione ‘aperta’ 24 ore su 24 essere al corrente dei cardini della riforma Boschi (‘Madre Costituente’, a ‘sto punto? ) non dovrebbe essere impegno troppo gravoso.

Invece, ormai alla vigilia del voto referendario, ben pochi paiono conoscere i temi della consultazione. Se non a grandi, grandissime – e vaghissime – linee. E, a dire il vero, ben pochi paiono interessarsene. Già, perché la consultazione, che potrebbe mutare, in parte, l’ordine costituzionale, ruota intorno a una sola figura: Matteo Renzi. Il voto – checché se ne dica – è una presa di posizione, nemmeno sull’operato del Governo guidato dal giovane fiorentino, ma sulla sua persona. Su Matteo Renzi, e basta. D’altronde, quando i mesi che separavano l’Italia dal Referendum – inizialmente ipotizzato per ottobre, poi slittato a dicembre – erano ancora copiosi proprio l’inquilino di Palazzo Chigi, uno cui l’autostima non fa certo difetto, ha chiarito che, se avesse vinto il ‘No’ alla riforma si sarebbe fatto da parte. Parole pronunciate quando il ‘fortino’ del Pd sembrava solido e la sua aura sul Paese ancora brillante. Parole che hanno fatto indossare al referendum l’abito del plebiscito.

Una sorta di ‘con me o contro di me’ che ha cancellato, d’incanto, ogni necessità di capire e comprendere. Di affrontare i passaggi della riforma in cantiere. Tanto, se il voto è sulla persona, che bisogno c’è di misurarsi con il Titolo V, il Bicameralismo paritario, il Cnel, la composizione del nuovo Senato? Nessuno. In linea con una comunicazione – fatta di tweet, dirette su Facebook, slide – tesa a semplificare tutto, senza spiegare tanto. Ad andare al nocciolo: con me o contro di me? Peccato che, su questo terreno, la concorrenza sia particolarmente ‘vivace’. Tanto che la politica italiana ha offerto, in mesi di botta-e-risposta, un quadro disarmante. L’immagine di un ‘caravanserraglio’ sguaiato – da qualsiasi parte la si guardi – trasceso nell’insulto gratuito e nello sberleffo sotto la cintura. Quasi da farsa se non si scorgesse, in controluce, un profilo tragico. O comico.

In una manciata di mesi, sul palcoscenico, non ci siamo fatti mancare davvero nulla. La divisione tra ‘veri’ partigiani e partigiani come dire ‘falsi’?, ‘cattivi’?, a seconda del loro appoggio o no alla riforma; la discesa in campo, in gran parte per il ‘No’ ma con le dovute eccezioni, di illustri costituzionalisti più a loro agio nelle aule universitarie che negli studi televisivi; opposizioni agguerrite che rievocano dittature cilene scambiandole per venezuelane.

E poi, la polemica sulle lettere-volantini per il ‘Si’ inviate agli italiani all’estero (con tanto di dominio Internet sbagliato ‘bastausi’, subito linkato ai sostenitori del’No’); le parole in libertà di un Governatore regionale che invita i sindaci a sostenere la riforma; quelle di un premier che definisce gli avversari una “accozzaglia” e quelle del comico-leader di un movimento d’opposizione che ritiene gli araldi ‘riformisti’, “serial killer della vita dei nostri figli” e la guida degli avversari “una scrofa ferita”.

E, ancora, un Presidente emerito della Repubblica che non fa mistero della sua preferenza; un redivivo Signor B, che – proprio lui – lamenta il rischio, in caso di vittoria del ‘Si’, di un uomo solo al comando e un redivivo Romano Prodi che sente il “dovere di rendere pubblico il mio si” pur considerando le riforme prive della chiarezza e della profondità necessarie; l’endorsement per il ‘Si’ dei vertici europei, i commenti delle grandi banche d’affari internazionali; il leader del Carroccio che vede il fronte del ‘No’ che va dall’estrema destra ai centri sociali come un “nuovo Comitato di Liberazione Nazionale”; le grandi testate internazionali dal Wall Street Journal al Financial Times a dire la loro, cambiando parere dai primi articoli di mesi fa a quelli – pesanti – degli ultimi giorni.

Un bel guazzabuglio, con in mezzo il sostegno al ‘Si’ del ministro delle finanze tedesco, dell’ambasciatore americano in Italia e del presidente degli Stati Uniti uscente e la vittoria alle elezioni politiche a stelle e strisce di Donald Trump, salutato dalle opposizioni nostrane come un segno favorevole e una sorta di auspicio per la battaglia del ‘No’.
Ormai ci siamo. Domani è il redde rationem. Del Referen-zum-pà-pà. O giù di lì.

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