Legislazione

Questioni private e opposte lobby: il percorso a ostacoli della legge Cirinnà

18 Gennaio 2016

L’intesa sulle unioni civili ancora non c’è. Ma  il premier Matteo Renzi assicura:  «Il 2016 sarà l’anno dei diritti». Il momento della svolta arriverà quando il 28 gennaio, data cerchiata in rosso a Palazzo Chigi, il testo sui diritti civili delle coppie omosessuali approderà nell’aula del Senato. Lì infatti culminerà il «teatrino», così lo chiama il premier, che ha accompagnato gli ultimi tre mesi di divisioni interne ed esterne al Pd. Perché da Palazzo Chigi si fa sapere che «in quella data si tireranno le somme. E vedrete – ragiona Renzi con i suoi – una maggioranza alla fine ci sarà». Con o senza l’Ncd di Angelino Alfano, da sempre strenuo oppositore del disegno di legge Cirinnà, «più per tattica che per convinzione», il presidente del Consiglio intende portare a casa il risultato. Da giorni  nei ritagli di tempo lavora insieme al braccio destro Luca Lotti al delicato dossier sulle unioni civili.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha infatti il compito di fornire nel più breve tempo la griglia completa del pallottoliere di Palazzo Madama. Una sorta di elenco con tutti i nomi dei senatori, con accanto la posizione degli stessi sui diritti delle coppie gay. In particolare, il premier desidera anche conoscere il parere dei parlamentari sulla stepchild adoption, ovvero sull’adozione del figliastro. Una strategia testata in occasione della riforma costituzionale, poco prima del voto dell’ottobre scorso. Questa volta però la war room di Palazzo Chigi se la dovrà vedere con un contesto differente. Le pressioni della Santa Sede, le divisioni all’interno della galassia renziana, i dubbi del Colle sull’equiparazione tra coppie di fatto e matrimoni. E, soprattutto, i malumori dei centristi di Angelino Alfano, che minacciano di far saltare l’esecutivo. Sono questi nello storytelling i “frenatori” che proveranno ad impedire il cambiamento. Sotto traccia gli sherpa delle rispettive fazioni tenteranno fino all’ultimo secondo una mediazione. Perché è certo che l’obiettivo resta sempre lo stesso: ridurre al minimo le defezioni all’interno del Pd e della maggioranza di governo ma anche cercare di scontentare il meno possibile il Vaticano nell’anno del Giubileo. Dal mondo cattolico il segretario generale della Cei Nunzio Galantino ha dato il via libera al riconoscimento delle coppie omosessuali.  Precisando però che la Chiesa esprime parere contrario alle adozioni.

Si concentra tutto qui lo scontro sul testo Cirinnà. L’articolo 5 del disegno di legge della discordia ruota attorno alla cosiddetta stepchild adoption. Il nodo sulle adozioni divide la maggioranza di governo ma divide il Pd. I centristi e una fronda trasversale di parlamentari dem sostengono che «la stepchild adoption sia l’anticamera dell’utero in affitto». D’altro canto, sussurra un senatore del Pd che chiede l’anominato, «un figlio non è un diritto. Una coppia omosessuale di due uomini non può avere un figlio a meno di non ricorrere alla surrogacy».

Il dubbio investe anche chi come il senatore Vannino Chiti o Linda Lanzillota, entrambi di estrazione laica, non si professa come la sentinella del cattolicesimo in Parlamento. In più si vocifera anche che la stepchild adoption sia una «norma ad personam». Ah, «se fosse successo con Berlusconi», allarga le braccia un alfaniano. La stepchild adoption, confidano agli Stati Generali, «sembra scritta su misura per il senatore Pd Sergio Lo Giudice». Qualche anno fa il presidente onorario dell’Arcigay si è sposato ad Oslo con il compagno Michele ed è riuscito a far concepire un figlio con la maternità surrogata in America. «Soltanto cattiverie di un palazzo omofobo», bolla la fronda Lgbt del Senato. Ma non si consuma qui lo scontro. Una trentina di senatori dem ha già presentato un emendamento sul cosidetto affido rafforzato. Con questa modifica, spiegano Stefano Lepri, Emma Fattorini e Rosa Maria Di Giorgi (tutti i tre senatori dem di rito renziano), «si riconoscono al partner non genitore tutte le funzioni genitoriali senza incentivare la maternità surrogata». Di più, continuano, «il minore continua ad avere, dal punto di vista anagrafico, un padre e una madre e volendo potrà ricostruire la sua identità biologica».

Una mediazione cui spinge sotto traccia il senatore dem Giorgio Tonini. Che proprio giorni fa dalle colonne del Sole24ore ha lanciato un appello ai centristi di Alfano: «Personalmente sono favorevole alla soluzione dell’affido rafforzato per far fronte alle perplessità che in parte comprendo di chi si oppone alla stepchild adoption».  Ma non è sufficiente. «È una mediazione a ribasso», accusano all’unisono Monica Cirinnà, relatrice del primo testo, Sergio Lo Giudice e Ivan Scalfarotto. «Il testo attuale è già mediazione», avverte il sottosegretario alle Riforme. In questo contesto raggiungere un accordo appare quasi impossibile. Il premier in fondo le ha provate tutte. In una prima fase ha affidato il delicato dossier a una “bicameralina”, costituita da dieci membri del Pd in commissione giustizia, che rappresentano tutte le anime. Con l’obiettivo di smussare gli angoli e approdare a un punto di accordo. Bicameralina che ancora volta si riunirà nelle prossime ore, forse già domani, per tentare l’ultimo negoziato. Il premier però non si fida e ha già annunciato libertà di coscienza sulle adozioni. Una mossa per riversare le responsabilità sul Parlamento. E dunque per tenersi lontano.

Di più: il testo è giunto senza relatore perché non si concluso l’iter in commissione a causa delle divergenze all’interno della maggioranza di governo. In questo modo nessuno sarà autorizzato a dare i parere sugli emendamenti e il governo – visto la contrarietà di una sua componente (cattolica) – si rimetterà all’aula. Sarà infatti nel grande gioco dei voti segreti che si deciderà il destino delle unioni civili. Mediatori e diplomatici, come il renziano di Montecitorio Walter Verini, assicurano che «la stepchild non si toccherà, semmai si metteranno dei paletti per definire meglio il perimetro». Oppure fra le ipotesi in campo vi è anche quella di un periodio di preadozione di «prova» di due anni al termine del quale sarà un giudice a decidere se la coppia presenta le condizioni per adottare definitamente il minore. Tutto è ancora possibile. Anche lo stralcio della stepchild adoption. Rimandando così il capitolo sulle adozioni ad una legge ad hoc. «In Germania hanno fatto così. Perché stupirsi? Prima i diritti, poi le adozioni». Lo chiedono espressamente 30 deputati del Pd, firmatari di un documento in cui invocano lo stralcio della stepchild adoption e l’eliminazione di qualsiasi riferimento al matrimonio. Lo ha chiesto il vescovo Galantino: «Vadano trattate in altra sede». Ecco perché il premier guarda con preoccupazione al 30 gennaio, giorno del Family Day. Che cadrà nel mezzo della discussione del disegno di legge sulle unioni civili.

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