Legislazione

Perché sulle unioni civili non si fa un referendum?

29 Gennaio 2016

Sul tema la si può pensare come si vuole, ma è innegabile che il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili sta creando una netta contrapposizione nell’opinione pubblica italiana, com’era facilmente ipotizzabile. Essendo una legge che intende andare a modificare in modo non lieve aspetti sensibili della vita di molte persone, si è creato un tifo da stadio sia pro che contro a questa proposta legislativa, che a dirla tutta cerca di aggirare in diversi modi i nodi più problematici del testo: l’equiparazione del matrimonio omosessuale rispetto a quello tradizionale e la possibilità di adottare i figli del partner anche nel caso di coppie non eterosessuali.

Dopo un’attenta lettura del disegno di legge che porta il cognome della senatrice Pd Monica Cirinnà sembra chiaro che l’obbiettivo di questa iniziativa legislativa non sia solo il riconoscimento (sacrosanto per chi scrive) delle unioni civili con la possibilità di adottare il figlio naturale preesistente del partner, ma vuole fare qualcosa di più: tramite ipocriti giochi di prestigio legislativi si tenta di introdurre nel nostro ordinamento i matrimoni tra persone dello stesso sesso e di aprire la strada giurisprudenziale alla possibilità che vengano in futuro equiparati ai figli naturali, frutto di una precedente unione eterosessuale, dentro o fuori il matrimonio, anche i figli nati da utero in affitto.

Il problema non sta tanto nel fatto di voler spingersi oltre al riconoscimento delle unioni civili, da anni obbiettivo della parte di sinistra dem più progressista, ma nel modo in cui si tenta di far divenire realtà tali innovazioni. Non si può negare che il ddl in questione individua di fatto un regime che è identico a quello del matrimonio, riprendendo alla lettera le formule che il Codice civile adopera per disciplinare l’unione fra coniugi e aprendo proprio per questo la strada a una parificazione totale dei diritti tra matrimoni contratti da persone di sesso diverso e matrimoni contratti da persone dello stesso sesso (tutti i diritti dunque, compreso quello di avere figli, anche attraverso la maternità surrogata).

Si può essere favorevoli o contrari a tale percorso, com’è giusto che sia, ma non sarebbe altrettanto giusto realizzare quella che appare come una rivoluzione culturale ed antropologica in un modo meno surrettizio e più trasparente?  Non sarebbe più corretto verso gli italiani l’uso di un linguaggio più chiaro e immediato per porre questo tipo di questioni, senza ricorrere a scopiazzature maldestre di istituti giuridici nati con scopi ben diversi?

Per queste ragioni bisognerebbe augurarsi che il ddl in questione venga affossato nell’aula di Palazzo Madama e non solo se si è contrari al progetto, ma specialmente se si è a favore: non serve una legge furbetta e mal fatta per introdurre i matrimoni gay, ma sarebbe ora di introdurre, per materie di questo tipo e questa rilevanza sociale, il referendum propositivo. Ciò permetterebbe di portare alla luce del sole il dibattito sui matrimoni omosessuali e sull’utero in affitto, di chiamare le cose con il proprio nome e di intraprendere battaglie politiche genuine per cercare di cambiare in modo corretto il nostro paese, proprio come fecero i radicali per introdurre la possibilità di divorziare e abortire.

Per questi motivi, bisogna sperare che il Parlamento capisca che su tali temi le mediazioni non servono nè ad una e nè all’altra parte, che le leggi parlamentari rischiano di creare un pasticcio e che è giusto che la parola torni agli elettori per decidere cosa sia legittimo o meno fare con un tema così sensibile come il matrimonio. Uno spiraglio di possibilità sembra aprirsi dopo le parole del leader di Ncd Angelino Alfano che, commentando le vicende relative al ddl Cirinnà, afferma che “se davvero la legge fosse percepita come un punto di eccesso, in una direzione o nell’altra, potrebbe essere una scelta razionale affidarsi al popolo“.

Quindi prepariamoci al confronto, al dibattito e perchè no alla lotta, ma facciamolo in modo intellettualmente onesto e battendoci a viso aperto: non servono cavilli legislativi e terminologici, ma chiarezza d’intenti e correttezza.

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