Legislazione

Il nuovo reato di omicidio stradale è demagogico e inutile

11 Giugno 2015

Per il reato di omicidio stradale “scatta anche il raddoppio dei termini di prescrizione”, non mancano di ricordare questa mattina i giornali commentando l’approvazione del disegno di legge ieri in Senato, tra gli applausi di molti comitati. Invece, a costo di essere impopolari, una cosa va subito detta: abbiamo davanti l’esempio migliore di un intervento legislativo che, contrariamente all’opinione di molti, ha molto di demagogico e davvero poco di utile.

La nuova legge fissa le pene per l’omicidio stradale – che resta sempre un omicidio colposo, cioè in alcun modo voluto – da 8 a 12 anni (da 7 a 10 anche in caso di non assunzione di alcol o stupefacenti, ma di semplice superamento sensibile dei limiti di velocità): si tratta di pene che, per chiunque abbia avuto un minimo a che fare con il diritto penale, già significano, di fatto, imprescrittibilità.

Che significato ha, allora, raddoppiare i termini di prescrizione, portandoli addirittura nell’ordine dei trent’anni? Voler parlare, a tutti i costi, “alla pancia della gente”, e volerlo fare a costo zero, con riferimento a fatti che, tipicamente, vedono l’individuazione dei responsabili nell’immediatezza dei fatti e quindi hanno bisogno di una prescrizione lunga meno di tutti gli altri.

Tutta la nuova legge parla lo stesso linguaggio: sventolare la bandiera di nuove pene e sanzioni, facendo credere che questa possa essere la soluzione del problema.

Non c’è però modo più illusorio e insieme rischioso di intervenire. È illusorio perché crea solo l’apparenza di un nuovo strumento di dissuasione: pene alte, quasi identiche a quelle del nuovo disegno di legge, infatti esistono già ora.

Si parla in lungo e in largo di una nuova pena massima di 12 anni, ma non si ricorda che la pena massima, per fatti di questo tipo, già oggi non è molto diversa, arrivando a 10 anni. Si mette in risalto che quella pena può salire a 18 anni in caso di omicidio plurimo, ma non si ricorda che già oggi, per quel caso, è prevista una pena di 15 anni.

Il modo è, però, anche rischioso perché – esperienza insegna – nelle maglie di questo tipo di interventi (apparentemente) emergenziali sono sempre molte le conseguenze non volute e paradossali.

Questo caso non fa eccezione: rimasti sostanzialmente invariati gli effetti sanzionatori (e quindi dissuasivi) per i comportamenti più gravi (quelli che – secondo la nota espressione – “destano l’allarme sociale”), l’unico vero effetto innovativo della legge sarà innalzare le conseguenze dei comportamenti meno gravi.

E di farlo in modo totalmente irrazionale: la pena minima dovrebbe essere di sette anni per chi causi un incidente mortale con un tasso alcolico superiore a 0,50 (a spanne: una bottiglia di rosso in due?) o, perfettamente sobrio, proceda a 71 km in un tratto in cui il limite sia a 35 km/h.

Comportamenti che – visti con l’inevitabile obiettività del penalista, che per professione si occupa di comportamenti sbagliati – in sé sono limitatamente gravi e, soprattutto, davvero molto difficilmente sono effettivamente causali rispetto all’evento.

Eppure la pena minima sarebbe di sette anni, che è, per fare solo il primo esempio, la pena massima prevista per coloro che – dolosamente – costituiscono e promuovono un’associazione per delinquere.

Non c’è bisogno di scomodare concetti tecnici di uniformità e ragionevolezza sistematica: è evidente che la nuova legge rischia di avere effetti completamente aberranti sulla vita di comuni cittadini, per semplici errori, comunque la si voglia mettere lontanissimi da quei comportamenti noti alle cronache che l’intervento mira asseritamente a reprimere, finiscono imputati per un reato che prevede sanzioni abnormi.

C’è da augurarsi che questa nuova legge non sia definitivamente approvata nei termini in cui la si legge oggi: certo è che il passaggio del Senato centra un problema culturale tanto noto quanto sicuramente più ampio.

Un amico, questa mattina, sosteneva ancora una volta che l’Italia è anzitutto una repubblica penale che ha sempre teso a incriminare troppo: non so se abbia ragione, ma di certo legge penale è una cosa molto seria, perché può incidere in modo serissimo sull’esistenza dei colpevoli e deve difendere quella di tutti gli altri.

Un esempio che riguarda la sicurezza stradale, ovvero un profilo che è una volta tanto davvero di tutti, può davvero essere utile per ricordare come i concetti di lealtà e coraggio non sono affatto irrilevanti anche nel “mestiere” di fare le leggi.

Molto più leale sarebbe vietare del tutto – come alcuni Paesi hanno da tempo scelto di fare – la guida in presenza di qualsiasi assunzione di alcol. Molto più leale sarebbe limitare per legge la velocità massima delle automobili.

Si tratterebbe di fare realmente prevenzione: ci vorrebbero però l’impegno di intensificare i controlli e, soprattutto, il coraggio di scontentare molti, dai produttori di alcol, a quelli di automobili, ai gestori dei locali pubblici.

È però noto: è molto più facile e privo di costi lasciare che i fatti accadano per poi consegnare alla sua pena esemplare il reo di turno, di fronte all’opinione pubblica. Poco importa se, tra i rei esemplarmente colpiti, finisce anche qualcuno che, magari tornando dalla sua famiglia dopo il lavoro, causa o concausa un incidente eccedendo di poco i limiti di velocità.

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