Legislazione

Non è un paese per disabili

22 Marzo 2023

Creando condizioni ambientali e sociali prima inesistenti, lo sviluppo di scienza e tecnologia ha aumentato il ventaglio di responsabilità politiche a cui le democrazie devono rispondere. In certi casi, si tratta di delicate sfide di carattere etico. Per esempio, grazie ai progressi della medicina si vive più a lungo e meglio ma aumenta anche il numero delle persone disabili e di quanti hanno bisogno di assistenza. Questo versante dello sviluppo tecno-scientifico ha imposto alle democrazie di occuparsi di persone che in passato non avrebbero superato la “selezione naturale”. Tra queste, in Italia, vi sono più di 3 milioni di cittadini in condizioni di gravi disabilità. Come la democrazia italiana si prende cura di queste persone?

Il 31 dicembre 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge delega sulle disabilità. Si tratta di una norma con la quale il parlamento delega il governo a legiferare sulla base dei seguenti obiettivi: il rafforzamento dell’offerta di servizi sociali; la semplificazione dell’accesso ai servizi sociali e sanitari; la riforma delle procedure di accertamento delle disabilità; la promozione di progetti di vita indipendente; la promozione del lavoro di gruppi di esperti in grado di sostenere le persone con disabilità con esigenze multidimensionali. Come spiega il nuovo Ministro per le disabilità “si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva, per cui istituiremo immediatamente un tavolo di lavoro”. Malauguratamente si dovrà attendere: “a fine 2024, conclusa l’attuazione della legge delega, occorrerà un testo unico sulla disabilità per porre ordine tra le norme e i fondi”.

Per il momento – attendendo con speranza e fiducia un Testo unico sulla disabilità – guardiamo alla situazione presente. Esiste unaLegge quadro emanata nel 1992 tuttora in vigore. Il testo della norma delega il parlamento a legiferare sulla base di finalità che non riassumo poiché praticamente identiche a quelle riproposte oggi nella Legge delega. Dal 1992 ad oggi la politica ha cercato di realizzare gli obiettivi della Legge quadro sulla base delle seguenti strategie:

la spesa per assistenza e cura disabili, compresa di pensioni ed altri sussidi è pari al 1,7% del PIL. In Norvegia e Danimarca, capoliste in questa classifica, si spende il 4,5%. In Svezia il 3,4%, in Spagna e Germania il 2,5%, in Francia il 2%. Nel nostro Paese i pochi fondi destinati sono gestiti in un’ottica quasi totalmente assistenzialista. Nonostante ciò, è penoso sottolineare che le pensioni per gli invalidi civili totali sono di 313,91 euro (se si mantiene un reddito annuo non superiore ai 17.920 euro); a questa provvidenza va aggiunta l’indennità di accompagnamento: 527,16 euro. Esistono altre forme di sussidio erogate dalle Regioni, ma non certo in grado di modificare la deprecabile condizione economica in cui lo Stato italiano lascia i cittadini disabili.

Solo una piccola parte della spesa totale – 0,5% – è destinata all’attuazione di politiche attive del lavoro. Un triste esempio è la Legge n. 68/1999, la quale prevede l’obbligo, per le imprese con almeno 15 dipendenti, di assumere una percentuale di lavoratori disabili, venendo in parte ricompensate dal Fondo per il diritto al lavoro dei disabili (fissato per il 2022 a circa 75 milioni, meno dello 0,01 del PIL). Il tasso di inadempienza è stimato intorno a 40%. Conseguentemente, il tasso di occupazione delle persone con disabilità era del 37,5% nel 2002 e si trova oggi ad essere leggermente superiore al 30%. Tra le donne è del 19% contro il 46% degli uomini. Il tasso medio europeo è superiore al 50%.

In Italia esiste dunque un mondo di 3 milioni di cittadini svantaggiati che vive di miserrime pensioni, dell’immenso sforzo delle famiglie o viene affidato ad istituti di assistenza. Tra questi circa 1,5 milioni sono persone che combinano differentemente difficoltà sensoriali, motorie, dolori neuropatici ed hanno difficoltà nella gestione di una vita autonoma. Una relazione redatta dal Ministero Del lavoro e delle politiche sociali stima che circa 800.000 sono collocabili ed alla ricerca di un lavoro. Svantaggiati, assistiti penosamente a livello economico e disoccupati.

Non è un caso che l’orientamento dei maggiori paesi europei sul tema dell’assistenza sociale è quello di attivare forme assicurative pubbliche e private. L’erogazione e l’ammontare della prestazione sono decise sulla base di una valutazione sul caso singolo. Un esempio interessante potrebbe essere la legislazione tedesca. Per la questione delle politiche attive del lavoro è interessante osservare i virtuosi sistemi di protezione dei paesi scandinavi, i quali combinano una alta flessibilità del mercato del lavoro e un valido sistema formativo e di ammortizzatori sociali. Flessibilità, protezione e formazione.

Ragionevolmente, si potrebbe guardare a queste e altre esperienze per cercare di adottare e adattare gli approcci che sembrano più efficienti. Ma ancora prima di fare confronti con altre democrazie – con la speranza che gli italiani diventino danesi – è necessario domandarsi: chi è una persona con disabilità?

Disabilità è un termine che esprime infiniti significati; si adatta tanto ad un bambino nato con la sindrome di Down quanto ad un ultra ottantenne con lesioni cerebrali post ictus. È una categoria che aggrega un mondo di esistenze eccezionali, incomparabili tra loro. Fuori da ogni dubbio, una persona con disabilità guarda al mondo attraverso una quotidiana convivenza con la sofferenza, propria e di coloro che la amano. Molti continuano a credere nella vita, non si arrendono ai tormenti del dolore e vogliono combattere.

Sarebbe tanto banale quanto giusto chiedere un aumento delle pensioni. Purtroppo non sarebbe serio poiché, già da molti anni nel nostro paese, il gettito contributivo annuo non copre la spesa pensionistica. Ogni anno lo Stato, per coprire questo buco, trasferisce all’Inps circa 130 miliardi di euro. Ogni seria richiesta di aumento delle pensioni, da qualsiasi gruppo sociale giunga, dovrebbe prevedere una revisione della spesa pensionistica totale, calpestando l’ipocrita retorica del “diritto acquisito” per realizzare irrevocabili aggiustamenti come l’aumento delle pensioni di invalidità.

Se si crede che uno dei primi doveri del potere politico sia quello di garantire ad ognuno le medesime opportunità al fine di una libera realizzazione della propria esistenza, è doveroso permettere alle persone con disabilità di contribuire alla crescita economica e sociale del paese. Creare le condizioni migliori poiché possano realizzare i propri desideri mettendo in campo le tante abilità che possiedono. Uscire da una logica esclusivamente assistenzialistica, paternalista e pietista.

Attenderemo l’attuazione della Legge delega, la quale, leggendo attentamente gli obiettivi prefissati, più che una rivoluzione sembra la riproposta di una cultura politica che vede le persone con disabilità solo come malati da assistere. Come se non si volessero incentivare tutti i cittadini che, pur convivendo al fianco di una estenuante sofferenza, manifestano la volontà di essere felici e di partecipare alla vita della propria comunità.

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