Legislazione

Ma davvero sulla Cirinnà non si poteva porre la questione di fiducia?

17 Febbraio 2016

Gira da oggi una voce, secondo la quale il governo non avrebbe potuto porre la questione di fiducia sul DDL Cirinnà perché lo stesso DDL non è di emanazione governativa. Il sottinteso di questa informazione, veicolata da molti attivisti di area democratica e anche da qualche parlamentare, sarebbe questo: la questione di fiducia – cioè un voto che chiede al parlamento di rinnovare o smentire il rapporto fiduciario con il governo, legandolo direttamente all’approvazione di un provvedimento di legge – può essere posta dal governo solo su leggi di emanazione governativa, cioè su decreti legge ed eventuali conversioni. Agli attivisti si è poi aggiunta direttamente Monica Cirinnà, con questo statis su Facebook.

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I regolamenti parlamentari di Camera e Senato, tuttavia, nulla dicono in proposito, segnalando semmai che è scelta diretta del governo decidere quando apporre la fiducia facendo dipendere il proprio destino da quello di un provvedimento di legge.

È vero, scorrendo gli archivi delle ultime legislature vedrete che la maggioranza delle questioni di fiducia poste dal governo ha riguardato in larghissima maggioranza provvedimenti legislativi di diretta emanazione governativa, come provvedimenti di conversione di decreti legge. Tuttavia, proprio sfogliando gli archivi vedrete che le eccezioni ci sono e sono molto rilevanti. È il caso, enorme per merito e metodo, dell’Italicum, che pur essendo stato spinto direttamente dal governo è diventato legge dello stato partendo da iniziativa legislativa popolare ovviamente e lungamente palleggiata e modificata dalle mediazioni politiche parlamentari. Proprio come la Cirinnà e stato lungo oggetto di dibattito parlamentare. Del resto, un altro esempio lampante di iniziativa parlamentare sulla quale è stata posta la questione di fiducia dal governo, nella scorsa legislatura, si intitolava “Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza”, era nata per iniziativa del parlamentare Consolo, ma siccome era ritenuta prioritaria dal Governo (Berlusconi) fu chiesto e ottenuto il voto di fiducia, proprio al Senato. Non è un bell’esempio da seguire, direte. E siamo d’accordo: ma qui si tratta di verificare se tecnicamente sia legittimo, o meno, il voto di fiducia.

E dunque, la dichiarazione un po’ propagandistica che sta girando tra i parlamentari e gli attivisti democratici non è vera: non era “vietato” apporre la questione di fiducia sul DDL. Era invece politicamente impossibile e insostenibile, perché la stessa apposizione della fiducia implica una solida certezza di ottenerla. Cioè di avere i numeri che servono. Una scelta del genere, vincolando l’approvazione di una legge a un formale sostegno al governo, avrebbe spinto “fuori” dal perimetro della maggioranza ad hoc per il DDL Cirinnà tutti coloro che, pur non appoggiando il governo, volevano votare il provvedimento, o almeno sarebbero stati tentati di farlo. Senza avere certezza che nella sua maggioranza, soprattutto dalle parti dell’NCD, tutti avrebbero seguito compattamente la linea. Peraltro, per portare una questione di fiducia in parlamento, è necessario, secondo la legge 400/88, all’articolo 2, aver incassato un “assenso” da parte del consiglio dei ministri.
Sarebbe arrivato, questo assenso, in questa situazione politica? No, probabilmente. Ma appunto, il problema è tutto politico, e per nulla tecnico.

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Stimolata da alcuni lettori, che le hanno segnalato questo post, Monica Cirinnà è tornata sul tema e ha argomentato come potete vedere sotto. L’ultimo capoverso conferma quanto da noi sostenuto fin dall’inizio: il tema è tutto politico, e nulla tecnico.

 

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(Articolo aggiornato, con gli interventi di Monica Cirinnà, alle 19,49 del 19 febbraio)

 

 

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