Legislazione
Il rischio politico tra percezione e realtà: serve un cambio di paradigma
Gli ultimi mesi e settimane sono stati un via vai di analisi e contro analisi della riforma su cui ci accingiamo ad andare a votare il prossimo 4 dicembre, con grandi ed eloquenti discussioni sul SI e sul NO. Pur con tutto il rispetto per i politici ed i costituzionalisti (più o meno anziani visto che di giovani nei dibattiti televisivi se ne sono visti pochi) che si sono alternati sui media, mi chiedo se qualcuno abbia mai fatto – e reso pubblico – un vero e proprio benchmarking rispetto ai sistemi di governance che funzionano meglio in un sistema che, volenti o nolenti, è diventato globale. Alla stessa stregua credo sia ormai chiaro a tutti che quello che è stato partorito è un sistema “pasticciato” da cui si potrebbe certamente partire per ulteriori miglioramenti ma che, al momento, non fornisce alcuna certezza se ed in che modo il governo intenda lavorare per perfezionare le riforme che nelle negoziazioni politiche si sono perse e le tempistiche che si vorrebbero perseguire per tali affinamenti. Il nostro premier pare sottostimare la diffidenza di molti elettori a credere a un generico “faremo”.
Infatti, mi chiedo se siano davvero queste le istanze cruciali che determinano il nostro destino di cittadini e risparmiatori a breve e lungo termine? Vorrei mettere insieme, a costo di sembrare cinico o superficiale, molti degli elementi che si intersecano sui nostri video, telefonini, social networks per evidenziare quelli che sono i veri problemi di fondo che ci ostiniamo caparbiamente a non affrontare.
Partiamo dal debito pubblico: se analizziamo la crescita smisurata del debito, pubblico e privato, a cui abbiamo assistito (in Italia ma non solo) negli ultimi 40/50 anni, dovrebbe risultare evidente a chiunque che il tenore di vita a cui siamo ci siamo abituati sia del tutto insostenibile.
L’andamento futuro di tale grandezza – a meno di drastiche riduzioni nelle aspettative delle popolazioni, riduzioni che, nessun politico degno di tale nome che non sia votato al proprio suicidio mediatico e reputazionale, si sognerebbe di proporre ai propri elettori – non può che peggiorare visto l’andamento demografico a cui tutto il mondo occidentale sta assistendo: il progressivo invecchiamento della popolazione rende sempre più oneroso il mantenimento di un sistema di welfare generalizzato, dove tutti vogliono di più ma non sono disposti a pagarlo o, forse più precisamente, pensano di riuscire a non pagarlo scaricando su altri l’onere di quanto oggi pretendono.
La cosa curiosa è come la maggior parte di noi usi “due pesi due misure” per quanto attiene alla sfera del pubblico e quella del privato.
Seppur con eccezioni – che, come dicevano i nostri vecchi proverbi, “confermano la regola” – credo che pochi tra i lettori di questo sito sarebbero pronti ad indebitarsi oltre ogni limite di “ripagabilità” pur di mantenere una Rolls Royce, un aereo privato e ville milionarie. Anche quando decidiamo di indebitarci per comprare una casa, iniziare un’avventura imprenditoriale, fare un investimento qualsiasi, la maggior parte di noi analizza, o cerca di analizzare, con maggiore o minore lucidità e perizia, le proprie capacità di ripagare l’indebitamento sulla base delle proprie attese di futura generazione di cassa e da lì fa (o dovrebbe far) discendere delle scelte di investimento e/o indebitamento razionali e coerenti.
Non appena ci si allontana dalla sfera privata questa razionalità sembra venire meno e tutti vogliamo avere di più senza per questo preoccuparci di chi mai pagherà quello che oggi vogliamo.
Immigrazione e crescita: che ci piaccia o no, la crescita economica di paesi con un andamento demografico negativo (quasi tutte le economie sviluppate, di qualche giorno le notizie non certo incoraggianti in merito alla natalità infantile in Italia) non possono che basarsi “sull’importazione” di giovani consumatori. Da questo punto di vista basta guardare cosa è accaduto negli ultimi anni in USA (immigrazione ampia ma controllata) e cosa invece stia accadendo in Europa o in Giappone, aree geopolitiche tendenzialmente restie ad accettare i flussi migratori. Con buona pace di Salvini, della Le Pen o dell’UKIP, gli idraulici polacchi (nota caricatura usata dalle più svariate organizzazioni anti immigrazione) non ci portano via il lavoro ma invece contribuiscono a crearlo in quanto sono i tipici rappresentanti di una popolazione giovane, che deve spendere e che quindi fa girare le industrie del real estate, dei mobili, delle automobili, dei vestiti, delle scuole, delle vacanze, etc. In questo campo sono personalmente convinto che sia mancato totalmente un contributo – oggettivo ed al contempo interessato – del mondo dei media e di quello imprenditoriale/economico che avrebbe dovuto adoperarsi per chiarire ai cittadini, dati alla mano, che senza “nuova linfa vitale” (giovani, bambini, mobilità sociale per gli immigrati di prima e seconda generazione) difficilmente la crescita economica potrà eccedere qualche zero virgola…
Deficit spending: tutti siamo consci delle mancanze – corruzione ed inefficienze in primis – che affliggono il nostro sistema pubblico ma, pur consci del fatto che se si spendesse meglio si potrebbe forse spendere meno, siamo proprio sicuri del fatto che il problema non stia alla radice? Detto in altre parole, siamo sicuri che dare la 14a ai pensionati – che pure ne hanno bisogno ma che ahimè non hanno, ancorché spesso non per colpa loro, storicamente versato i contributi necessari a finanziare tali erogazioni- sia un modo efficiente di usare le risorse pubbliche? Personalmente non ne sono convinto in quanto se è vero che è necessario garantire una vita decorosa a tutti i cittadini, la definizione di “decoroso” può variare ampiamente a seconda dei parametri che si utilizzano nella definizione di decoro. Il progressivo innalzamento dell’asticella del “decoro minimo” è anche – o forse soprattutto – il risultato della sempre maggior diffusione mediatica della vita dei “ricchi”; essa genera aspettative del tutto illusorie in quanto non si può creare ricchezza dal nulla. Se è vero che è necessario fornire opportunità di lavoro a tutti coloro che hanno effettivamente voglia e capacità di lavorare, non credo che pagare gli stipendi a qualche migliaio di forestali in Calabria a fronte del poco più di un centinaio in Veneto, ai dipendenti dell’azienda di trasporti siciliana che non hanno la patente… sia un modo efficace di spendere a meno che l’efficacia non si misuri nel numero di voti che così si riescono a …”ottenere”. Facciamo invece un vero progetto di riqualificazione professionale focalizzato sulle professioni che possono avere un futuro nei rispettivi territori e poi lasciamo che sia la libera iniziativa a determinare chi hai i numeri, la determinazione, la voglia, la disponibilità al sacrificio, per emergere.
Mi permetto qui una piccola divagazione personale: qualche settimane fa al rientro da una breve vacanza in Toscana decido di passare per Firenze da dove mancavo da anni: vado a piazza del duomo (una meraviglia artistica ed un punto di attrazione dei turisti di tutto il mondo) e trovo che, essendo domenica pomeriggio, il battistero è chiuso. Evito, per pudore, i commenti dei numerosi turisti internazionali presenti che peraltro vengono informati sgarbatamente dagli stessi custodi del duomo, evidentemente infastiditi da coloro che invece, essendo i loro clienti, dovrebbero coccolare.
La domanda che mi sorge spontanea è quella se usassimo i soldi pubblici per formare personale qualificato, gentile, che parli inglese e arrivare così a tenere aperti i monumenti e così evitare che i turisti tornati in patria “ci sputtanino” con i loro compatrioti, non sarebbe meglio? Certo come diceva un noto scrittore “lavorare stanca” e stanca ancora di più se bisogna lavorare di domenica a Natale, a Capodanno, di notte, nei giorni di vacanza che però sono i momenti in cui la domanda è maggiore. È forse un caso che il numero dei turisti in entrata in Spagna sia maggiore di quello in Italia? Vogliamo finalmente capire che per attrarre i turisti – sfruttando così uno dei pochi vantaggi competitivi di cui ancora disponiamo e che non ci possono essere comprati – dobbiamo fornire “un servizio” e quindi soddisfare la domanda quando questa si manifesta, poco importa se di domenica, Natale o Pasqua?
Speriamo che almeno questa domenica, i custodi del battistero di Firenze, vadano a votare. Io ci andrò.
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