Legislazione
Il referendum comporterà miglioramenti sulla sanità? NO
Quando si parla di Titolo V, art. 117 comma 2, lettera m, ossia della devoluzione delle competenze in tema di salute alle Regioni ( SSR), ci si accorge di quanto siano complessi i problemi che i giuristi definiscono relativi alla “legislazione concorrente”. In questi dibattiti sul SI/NO quasi nessuno ha colto lo spirito devastante che il SI avrebbe sulla Sanità. Ecco le questioni
I problemi inerenti al Titolo V all’atto della Riforma Legge Costituzionale L. 3 del 2001.
Il dettato costituzionale, segnatamente nel suo articolo 117, regola la ripartizione delle competenze legislative. Esso distribuisce le competenze legislative predeterminando analiticamente le materie di competenza esclusiva dell’Autorità centrale e affidando alle Regioni la competenza legislativa relativa alle materie “residuate”. Con questo, introduce nella nostra Costituzione una forte connotazione federalista. Più specificatamente in tema di salute, il comma 2, lettera m, del riferito articolo 117 riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Il successivo comma 3 prevede, invece, che la “tutela della salute” sia materia di legislazione concorrente, rispetto alla quale, quindi, la potestas legislativa (cosiddette leggi di dettaglio) e quella regolamentare spettano alle Regioni, mentre rimane di competenza esclusiva dello Stato quella che si riferisce alla determinazione dei principi fondamentali (cosiddette leggi quadro ovvero di cornice).
Questa impostazione, offerta dalla nuova lettura costituzionale, presenta tuttavia dei limiti. Nel generare una sensibile differenziazione dell’offerta reale di salute nel Paese, può anche comportare una sorta di disparità sul territorio nazionale, nel godimento del servizio sanitario da parte del cittadino-utente. In definitiva, nei confini regionali è insita la differenziazione della qualità e della quantità dell’offerta di salute erogata dal sistema sanitario regionale.
Da qui, la genesi del pendolarismo sanitario da Regioni di mediocre livello sanitario verso quelle più dotate. Ne deriva la necessità di fissare “i livelli essenziali delle prestazioni” e “i principi fondamentali”, in tema di tutela della salute. Nel concetto di “essenziale” nella sanità, si trasferiscono le reali necessità della popolazione e non si identifica con il principio del “minimum package”, inteso come livello minimo al di sotto del quale non si può andare. La determinazione concreta dei livelli essenziali delle prestazioni non implica una definizione solo “quantitativa assoluta”, ma va relazionata alle esigenze sanitarie di “quella” popolazione. Con l’affidamento alle Regioni della piena potestà legislativa, come affermava, nel 2006, Ettore Jorio, si è ritenuto, infatti, che “…bisogna trovare una via di mezzo, cioè individuare dei livelli essenziali che siano soddisfacenti, ma che siano realmente essenziali”.
I problemi che nascerebbero se passasse la Riforma Renzi
Secondo il parere di autorevoli costituzionalisti, le discrepanze esistenti peggiorerebbero sensibilmente. La Costituzione conferisce già allo Stato la competenza generale a legiferare in materia di tutela della salute, tramite la determinazione dei c.d. “livelli essenziali di assistenza (L.E.A.). Se il governo avesse veramente voluto garantire a tutti un alto livello di tutela della salute, avrebbe già potuto farlo ampliandone la portata, aumentando le risorse (invece di tagliare i bilanci) e proponendo una riforma che neutralizzasse le differenze fra tanti diversi sistemi sanitari regionali, condizionati dalla più o meno ampia disponibilità finanziaria delle singole Regioni. Ancora una volta, non solo non lo ha fatto, ma ha inserito in Costituzione una norma “specchietto per le allodole” (art. 117, 2° comma, lett. m) che conferisce allo Stato un potere che, di fatto, aveva già: quello di stabilire “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, ma lascia alle Regioni le competenze in materia di “programmazione ed organizzazione sanitaria”, da cui dipende la reale ampiezza e qualità dei servizi e delle prestazioni erogate. La causa non sta solo nella differenza di risorse riferibili a quei territori, ma anche nella mancata attivazione del c.d. “fondo perequativo” che, secondo l’art. 119 Cost., avrebbe dovuto sostenere le Regioni economicamente più deboli. La riforma non incide su nessuna di queste criticità.
Ne deriva che, essendo progressiva l’involuzione verso la cosidetta “ privatizzazione” del SSN attraverso l’aumento di offerta sanitaria attraverso la convenzione con strutture private e la sua copertura mediante polizza assicurativa, detta involuzione si scontrerà presto nei territori con le seguenti modalità:
1) Regioni ad offerta sanitaria di alta caratura (sanità eccellente), (Lombardia, Veneto, Piemonte) si adeguerebbero allo stato delle cose con un ampliamento delle convenzioni, con tutte le storture ad esse legate, e si accentuerebbe la distribuzione dell’offerta assicurativa, spesso monopolizzata o da cartello (Unipol, RBM Salute etc, Ass,. Generali,) con inevitabile spirale delle cifre dei ratei.
2) In Toscana e Lazio l’offerta sanitaria privata verrebbe fagocitata ed interessata da quella pubblica (Aziende OU di Pisa, Siena, Firenze) volte ad acquisire, tramite centri privati, una diluizione delle domande di salute.
3) Nelle altre Regioni, l’offerta sanitaria privata, poco rappresentata, non offrirà migliori possibilità di prima, la copertura assicurativa risulterà modesta, le liste d’attesa infinite ed il pendolarismo sanitario inevitabile.
4) Il recente Patto di Fabbrica che ha imposto un aumento salariale di 156€ ed una copertura per le famiglie dei lavoratori FIOM fino a 700 € /anno, farà da traino per ulteriori patti sindacali coinvolgendo i lavoratori ad aderire al processo di privatizzazione.
5) Ne deriva che i punti 1-2-3 comporteranno la stabilizzazione dello statu quo di Regioni ad alta velocità sanitaria, capaci di assorbire la domanda e Regioni a bassa capacità sanitaria, ove, per assenza di alternative pubbliche e/o private, il paziente sarà costretto al pendolarismo.
6) Quest’ultimo sottrarrà possibilità terapeutiche a pazienti residenti in Regioni privilegiate, creando ulteriori lesioni degli artt. 3, 32, 119 della Costituzione.
7) Inevitabili dunque i ricorsi di Giustizia Amministrativa con aggravio considerevole di costi ciò che non potrà essere evitato dalla Conferenza Stato-Regioni.
8) A questo punto intoccabili e privilegiati saranno coloro che hanno avuto la fortuità di nascere in una Regione piuttosto che in un’altra.
Biblio
A. Ferrara- L. Rosafio, Rione Sanità, chi si ammala è perduto. Aracne Ed. 2013
A. Ferrara, Quinto Pilastro, il tramonto del SSN. Bonfirraro ed., 2016
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