Costume
Anche il single può adottare, ma solo se il neonato è Down e nessuno lo vuole
Una bimba nasce affetta dalla sindrome di Down, e i genitori non la riconoscono lasciandola in ospedale a Napoli. Sette coppie, già giudicate idonee all’adozione nazionale, rifiutano di adottare proprio lei. L’ottavo, quello che dice sì, è un uomo, solo. Un single che aveva fatto richiesta di adozione mettendosi a disposizione proprio di situazioni in cui il rifiuto sociale e genitoriale è particolarmente marcato, come nel caso appunto della disabilità. La notizia rimbalza da due giorni sui giornali, e alla prima lettura mi ero chiesto: “Ma quindi adesso anche i single possono adottare?”. Osservazione analoga, in una bella intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, esprime oggi Stefano Mauri, che guida l’importante gruppo editoriale Mauri e Spagnol, quando dice che osserva con piacere che “le maglie dell’adozione si sono dunque allargate anche in Italia”. L’intervista dice molto altro, ed è il racconto toccante e schietto di quale esperienza impegnativa ed enorme sia la genitorialità di chi ha figli con la sindrome di Down, e merita di essere letta.
Seguendo le pieghe di quella domanda sulle maglie che si allargano, però, ho cercato quale sia l’appiglio giuridico per cui i giudici del Tribunale di Napoli, dopo lunghi tentativi andati a vuoto con coppie eterosessuali regolarmente sposate, hanno deciso di telefonare al possibile futuro papà single. Perché in realtà, all’interno del nostro ordinamento, il principio generale resta fermo: possono adottare un bambino solo coppie eterosessuali unite in matrimonio, e che convivano (vale anche il periodo precedente al matrimonio, purché documentato dallo stato di famiglia) da almeno tre anni.
Tuttavia, una legge del 1983, la numero 184, all’articolo 44 lettera c, prevede la possibilità di derogare a queste condizioni obbligatorie qualora il bambino sia disabile ovvero, seguendo un ulteriore riferimento normativo, come da farraginosa consuetudine nel nostro ordinamento, presenti “una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. C’è stato poi bisogno di alcuni interventi giurisprudenziali perché la regola non valesse per i soli bambini italiani, ma anche per i bambini stranieri, che non potevano essere sottoposti ad un regime diverso, almeno in forza del principio di eguaglianza stabilito dall’art 3 della nostra Costituzione.
A questo punto, augurando forza e fortuna all’uomo che ha ricevuto in affidamento preadottivo la piccola, e altrettanta forza e fortuna a lei, resta una domanda di sistema: ma davvero nel 2017 si può accettare l’idea che un ordinamento giuridico civile consenta l’adozione per single, o per coppie non sposate, solo nel caso in cui nessuno voglia un neonato in quanto disabile? È davvero ammissibile che si riconosca, nero su bianco, in forza di legge, il fatto che solo “la minorazione fisica psichica e sensoriale” consentano all’amore di persone non sposate, eterosessuali e omosessuali, o di persone sole, di diventare genitoriale anche dal punto di vista della legge? È in definitiva accettabile – non solo moralmente, ma giuridicamente, proprio in forza di quel principio di eguaglianza di cui si parlava poco sopra – che l’amore di queste persone valga solo per accogliere i bambini che nessuno, proprio nessuno ha voluto?
(foto di copertina tratta dai manifesti della “Giornata per le persone con sindrome di Down”, fissata per il prossimo 8 Ottobre)
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