Partiti e politici
L’educanda D’Addario e un (ex) allegro puttaniere: come passa il tempo
Le cronache post-marziane che ci arrivano da Bari, di escort che guizzano tra i flutti impetuosi dei materassi berlusconiani, e significativamente illustrate da Patrizia D’Addario nel ruolo di perpetua dal rintocco etico, oggi ci appaiono come un tempo stinto, dai contorni indefiniti e probabilmente non meritevole di tutto quell’italico can-can che accompagnò per mesi, mesi e mesi le gesta del nostro allegro puttaniere. Cosa ci abbiamo guadagnato, intanto, se ci abbiamo guadagnato qualcosa? In termini di consapevolezza probabilmente nulla, chi aveva una certa idea di lui, ne conosceva bene il piano inclinato delle tentazioni, che lo hanno portato da sempre a considerare l’universo femminile come lo sbarco pirata e liquidatorio nel rapporto con l’altro sesso. Era così ai tempi della Fininvest, è stato così in politica.
Si racconta che il cda della società (formato da dirigenti che hanno costituito il pacchetto di mischia delle sue aziende), periodicamente riunito nella villa di via Rovani in centro a Milano, si aprisse invariabilmente con un cerimoniale convenuto: a ogni consigliere toccava l’illustrazione attenta e particolareggiata di una scorribanda sex da offrire agli amici di tavolo, da chiudere poi con l’immancabile “barzelletta sporca”. L’intervento finale toccava ovviamente al nostro caro Silvio e in quei casi, per i presenti al tavolo, la regola era una e una soltanto: mostrare il massimo dell’apprezzamento, diciamo un trenta-quaranta per cento in più di tutti gli altri interventi, per la scorribanda del Capo e ovviamente anche per la sua barzelletta, alla fine della quale le risate dovevano farsi così fragorose da preoccupare le segretarie nell’altra stanza.
L’unica differenza, significativa, con la politica è stata nel dominio delle situazioni. Un po’ perché il Silvio Berlusconi capo-azienda era decisamente più giovane, ma soprattutto perché nessuno dei suoi storici collaboratori lo avrebbe mai tradito né compromesso. La filiera era molto protetta, molto solidale, molto “amica”, in un certo senso non c’era da averne paura. Nella storiaccia delle feste di Arcore, invece, nulla era protetto, minimamente riconducibile alla sicurezza aziendale Fininvest e infatti il suo primo “collaboratore” del nuovo corso fu un frequentatore esterno, un modesto lenone che era riuscito a infilarsi nel cerchio magico, superando la barriera della fida segretaria Marinella, un terroncello elegantino di Bari che gli proponeva donzelle a pagamento in cambio facilitazioni d’affari. Ciò significava in maniera inequivocabile che l’uomo Berlusconi aveva perso lucidità e che venendogli a mancare l’equilibrio sessuale – consultare qualche olgettina per le referenze – il suo ruolo politico, e di presidente del Consiglio poi, era esposto a pericoli non sopportabili né tollerabili da un Paese normale.
Solo che noi non siamo mai stati un Paese normale. In quel tempo ci furono giornali, Repubblica in testa, che pensarono di invocare l’etica dei comportamenti, che incarnarono la funzione salvifica che in genere si affida ai preti, che presero sulle spalle il fardello della Morale, dispensandola ai cittadini sotto forma di fustigazione cartacea. Quotidianamente si dedicavano le prime cinque o sei pagine alle prodezze dell’allegro puttaniere, nell’illusione che la forza centripeta dell’opinione pubblica avrebbe prodotto un tale moto sussultorio da costringerlo alle dimissioni.
Ma nella storia contemporanea italiana, nessun giornale ha mai avuto la forza di far dimettere chicchessia e se qualcuno si è mai dimesso è perché talvolta la figuraccia planetaria ha fatto premio anche sulle case acquistate all’insaputa dei legittimi proprietari. E l’esercizio stolido di metterci in parallelo con il mondo là fuori, appena passati i confini italici, dove si lasciano ministeri per aver scopiazzato parti di una tesi di laurea, o per aver tralasciato di pagare le marchette della colf, o per aver messo un filmetto porno nel conto dell’albergo (ah, che ingenuità), è davvero degno di miglior causa, qui, dove l’esercizio di mollare qualsivoglia cadreghino non è contemplato neppure dalla sacra Carta. Figuriamoci, poi, per quattro sgavazzi fallici nel sotterraneo di villa San Martino.
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