Governo

Senza meritocrazia la rivoluzione generazionale di Renzi è già fallita

13 Novembre 2014

La rivoluzione generazionale è iniziata. E’ uno dei meriti di Matteo Renzi. Ormai al governo, in molte cariche pubbliche, persino nel talk show tv che si occupano di politica emergono personaggi spesso poco più o poco meno che quarantenni. E’ tutto iniziato da troppo poco tempo per dare un giudizio. Qualche osservazione però si può iniziare a farla.

La prima riguarda la modalità con cui avviene la rivoluzione generazionale. E’ tutta dall’alto. Patisce lo stesso difetto delle grandi carriere delle generazioni precedenti (non di tutte, però, ad esempio i ragazzi della Resistenza, quelli delle magliette a strisce degli anni Sessanta, la stessa ondata del 68): avviene per cooptazione. Questa osservazione vale anche per l’altra grande novità, l’emergere delle donne e l’avvenuta parità in alcuni luoghi del potere, ad esempio al governo.

Anche qui la scelta dall’alto impone una selezione che spesso è messa in discussione sul piano della qualità. Stiamo parlando di politica, di informazione, di alcuni vertici del paese, mentre poco si sa del resto della società. Teniamo comunque l’occhio sul vertice. Il tema del rinnovamento generazionale è ovviamente antichissimo, è stato causa di rivoluzioni, oggetto di contro rivoluzioni (“giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”), alcuni partiti si inventarono il “rinnovamento nella continuità”, penso al Pci, per accettare, controllandolo, il processo di cambiamento, l’ingresso di giovani sulla prima scena è stato aiutato da anziani dallo sguardo lungo e osteggiato da vecchi invidiosi.

La giovane età è stata considerata portatrice di per se stessa di valori nuovi, mutati da generazione a generazione e nelle diverse condizioni storiche, oppure crocianamente è stata considerata un passaggio anagrafico transitorio (cosa peraltro assai vera). La sinistra si è spesso interrogata sulla questione giovanile quando scopriva di non riuscire a dialogare con essa, soprattutto quando scoppiò la “questione urbana”.

Molti politici di oggi ne hanno fatto una bandiera. Lo stesso Berlusconi ha promosso giovani e giovani donne, restando incollato al proprio posto di comando. Nel Pd Bersani ha promosso numerosi ragazzi. Renzi ha fatto bingo, con lui “todos caballeros”. Quando una rivoluzione è in atto, i suoi protagonisti devono sapere che saranno sottoposti alle critiche.

Nel caso della rivoluzione renziana, la svolta giovanilistica ha due punti oscuri: il primo è che Renzi l’ha adoperata per far fuori una componente politico culturale, la sinistra, già propensa al suicidio per propria naturale inclinazione; la seconda è che ha nutrito la rivoluzione giovanile con accenti da pulizia etnica verso i non più giovani. In Occidente non è mai successo. In democrazia non è mai successo.

Veniamo invece al giudizio su questa rivoluzione generazionale. Obiettivamente sembra un vero e proprio fallimento. Il modo con cui il personale politico “giovanile” è stato selezionato ha favorito non i più bravi, i più sperimentati, quelli che hanno rischiano qualcosa nella loro breve vita, ma chi si è accosciato nelle segreterie dei leader, ora in quella di Renzi, spesso essendo pronti a tradirlo.

Non abbiamo neppure avuto una selezione sul piano della qualità oltre che degli strumenti di cooptazione. Di nessuno dei nuovi protagonisti si conosce una posizione eccellente in qualche campo: saggi, romanzi, canzoni ecc. Nessuno in tv mostra una personalità che buca il video, come lo ha bucato il loro capo Renzi ai primi esordi. Tutti in linea, tutti allineati, anzi, recita a soggetto, assenza di un vero e proprio radicamento nel paese e persino nella propria generazione.

Doveva essere una” generazione di fenomeni”, come cantavano gli Stadio, sembra una generazione di gioventù senescente. Per trovare un po’ di rigore e di personalità bisogna andare a Stefano Fassina, dalle cui opinioni e dal cui schematismo mi sento abbastanza lontano.

E’ ovvio che questa generazione non salverà il paese. Personalmente prevedo che se Renzi andrà rapidamente al voto, se vincerà le elezioni e farà il governo del quinquennio terrà alcuni suoi ragazzi accanto, quelli più di mano per capirci, ma poi si rivolgerà a chi sa come si governa il paese. L’ hanno fatto tutti, da Mussolini in poi, per non andare più indietro.

Questo prematuro fallimento della nuova generazione politica dice una sola cosa. Non si può invocare la meritocrazia e non praticarla. La meritocrazia non è un processo che parte da capi illuminati e lungimiranti ma da processi reali in cui la gente, la cosiddetta gente, viene messa in competizione, sperimentata, valutata, persino bastonata e chi sopravvive viene promosso. Non è andata cosi, non sta andando così, speriamo non andrà così.

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