Parlamento
La lotta ai corrotti non ha mai appassionato la sinistra. Cambierà verso?
La «Ditta». Per mostrare la sua fedeltà al (nuovo) partito anche nella diversità, lo smacchiatore più simpatico e perdente della sinistra moderna evoca spesso un aziendalismo un po’ impolverato ma efficace. Quando si tratta di votare le riforme di Renzi che pur non gli garbano, Pierluigi Bersani porta sulle spalle un carico di responsabilità e dolore (personale) che gli consiglia saggezza tormentata. In buona sostanza, evita di fare il Civati qualunque, giovanotto senza meta che ambirebbe (inutilmente) a una tombola rovinosa di Renzi e tutti i filistei che porterebbe il Pd alla paralisi definitiva. Sotto questo cielo, Bersani è un vero comunista responsabile, mentre i nipotini non si saprebbe davvero a quale sinistra affiancarli, escludendo la riformista che è appannaggio – dicono – di Matteo Renzi.
Con tutto quello che è successo a Roma, lo sprofondo criminale che abbiamo sotto gli occhi, adesso la Ditta sembra non aver più (ex) titolari, un consiglio di amministrazione, dei soci fondatori, persone ovviamente riconducibili al passato e non al presente renziano. Il presente renziano viaggia sul velluto, azzera cariche, commissaria partiti, declama alto e forte il suo sdegno di fronte ai giovani senza bussola, un’orazione funebre in cui comunque non muore mai la speranza: «Non lasceremo Roma in mano ai ladri!» È buona norma che un presidente del Consiglio si indigni per una questione definitiva come la corruzione, al punto da confezionare un discorso alla Nazione nel quale definire i nuovi tratti punitivi del nostro codice, anche se più decoroso sarebbe stato se qualche timido accenno Renzi lo avesse mostrato nel corso di questi mesi di governo e non a galere generosamente spalancate. È che nei primi mesi di comando la corruzione gli sembrò pratica scarsamente produttiva, lasciandola volentieri a quei maniaci del “Fatto Quotidiano” o alla indignazione operosa di Roberto Saviano che gli scrisse persino una lettera (aperta) alla quale faticosamente rispose. Ma non si può avere tutto.
Intorno alla «Ditta» volteggiano anche ineleganti avvoltoi che oggi rivendicherebbero un’estraneità rispetto al passato e qualche esempio si ritrova sugli immancabili sfogatoi social. Per esempio il buon Fabrizio Rondolino, già nella pacchetto di mischia dalemiano al tempo della presa del governo senza uso di elezioni (pratica mutuata anche in tempi più recenti), il quale rivolgerebbe una domanda etico-puntuta ai suoi ex compagni che evidentemente sbagliavano (tra i quali non lui): «Adesso che sappiamo come funzionava la #Ditta, dov’è l’orgoglio della Vecchia guardia?»
Forse, care ragazze e cari ragazzi di una sinistra nuova, sarà utile dirselo con molta schiettezza: la lotta alla corruzione non è (mai) stata una battaglia epocale della sinistra e il rifugiarsi sotto l’ombrello, peraltro straordinario, della «questione morale» berlingueriana è una disonestà politica consapevole. È come se la profondità di un pensiero di sinistra, riconosciuto come intellettualmente evoluto e comunque assai strutturato, mal si adattasse a parlar di corrotti, magnaccioni, malavitosi, come se di tutto questo – cioè i ladri – se ne dovessero occupare le guardie e non la politica. Un atteggiamento elitario, che nel tempo ha dato i frutti che sappiamo. E in linea di principio, più un pensiero, un principio, di una destra, ma con questa destra degli ultimi vent’anni dove volevi andare.
Devi fare login per commentare
Accedi