Giustizia
Il pasticcio del Salva-Silvio: scene di ordinaria inadeguatezza
Il regalo di Natale. Il salva-Silvio infilato nella riforma tributaria alla vigilia di Natale. La storia politica di questa tersa e mite domenica di inizio gennaio ce la regalano poche righe di norme infilate all’ultimo momento nello schema di decreto legislativo inerente la certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, all’articolo 19-bis. La storia la trovate su tutti i giornali, ma il riassunto è semplice: poche righe di norma depenalizzavano alcune condotte di limitata lesività economica per l’erario. Come si studia sui banchi di tutte le facoltà di giurisprudenza del paese (e d’Europa), se la legge nuova è meno dura per il reo di quella in base al quale sarebbe stato giudicato (o è stato giudicato) in passato, vince quella nuova. La norma vale per tutti, anche per chi è già stato giudicato (anche se in questo caso serve una riapertura del processo e questo complica un poco la procedura).
Vale per tutti, e tra i tutti in questo caso c’era anche Silvio Berlusconi e la sua sentenza Mediaset. Reato tributario al quale, secondo le voci più autorevoli, il 19-bis del decreto si attagliava proprio a pennello. Tra i contrari, si annotava il parere – forse non del tutto distaccato – di Niccolò Ghedini e quello del premier Renzi. Il presidente del Consiglio, tuttavia, deve essersi rapidamente consultato con qualche buon giurista che gli ha spiegato, veloce veloce, che non c’erano storie: applicando la lettera della nuova legge, Berlusconi si sarebbe trovato libero dalla condanna e libero dall’incandidabilità stabilita dalla legge Severino.
Contemporaneamente al solito, prontissimo annuncio di dietrofront da parte di Renzi (“Se è così riapriamo subito la discussione in consiglio dei Ministri”), è partito anche l’usuale scaricabarile tra strutture tecniche e politiche di Palazzo Chigi e del Ministero dell’Economia. Già, la norma salva-Silvio, chi l’ha infilata? Renzi dice che è stata messa in pista dal Mef, quindi dagli uomini di Padoan, mentre il premier lascia trapelare che lui avrebbe voluto pure pene più dure ma i colleghi di governo, compreso il ministro della Giustizia Orlando, gli avrebbero segnalato che un inasprimento avrebbe tolto equilibrio al disegno complessivo. Ma al Ministero dell’Economia e delle Finanze la versione è speculare ed opposta: il 19-bis è stato aggiunto a Palazzo Chigi.
Mettiamoci pure l’anima in pace: la verità non la sapremo mai. Chi è stato, perché, rispettando quali patti, lungo quali traiettorie, non sarà mai noto e ufficializzato, anche perché mancano – proprio dove più servirebbero – protocolli di trasparenza e verbalizzazione. Mentre quel che si dice in parlamento viene sempre stenografato, le navette dei decreti tra un ministero e l’altro finiscono con il lasciare traccia. Te li trovi lì, cucinati, e chissà per volontà di chi.
Proprio per questo, come minimo, una responsabilità oggettiva pende per definizione sul capo del gruppo, cioè al presidente del Consiglio. Che – stiamo alle sue parole, prendiamole per buone al cento per cento – se l’è fatta fare sotto il naso. Lui e chi lo aiuta nei processi legislativi, i suoi tecnici, chi lo consiglia e chi deve tenere d’occhio, loro, tutti insieme, non si sono accorti che una norma così “sensibile” politicamente finiva nel pacchetto della vigilia di Natale ed era pronta a deflagrare in poche settimane. Un fatto grave, per il quale un leader come si deve, indagherebbe in fretta le responsabilità (colpose? dolose?) del suo staff legislativo di quello di altri ministri, e allontanerebbe in fretta i responsabili. Costi quel che costi: l’incapace – o l’infedele, peggio – non possono servire il bene comune. Giusto? Tantomeno, naturalmente, sarebbero adatti a rimanere al loro posto – se i responsabili fossero loro – i politici che governano Palazzo Chigi o altri ministeri chiavi: non perché la norma salva-Silvio sia di per sé aberrante ma perché – invece di essere spiegata e rivendicata come atto politico – è stata infilata di soppiatto in un decreto della vigilia di Natale.
E mentre eravamo tutti distratti dai regali e dalle cene di Natale, nelle nostre case, e se proprio pensavamo alla politica, pensavamo tutti al Jobsact.
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