Partiti e politici
Il paese è talmente andato che perfino Salvini potrebbe prenderlo
Quando ho letto che Giuliano Ferrara definiva Salvini sul Corriere della Sera «un brillante attaccamanifesti», mi sono definitivamente rasserenato. Non che in passato, nel raccontare i tratti di questo nuovo astro del firmamento politico, mi fosse mancato il coraggio, ma ancor prima di considerarne la grandezza (che oggi gli viene generalmente attribuita) ne avevo inesorabilmente definito nel tempo la pochezza. Intellettuale, culturale e umana. Dunque cronica. Dal che trarre l’inesorabile conclusione che capisco nulla di politica e Ferrara ancora meno. Un’ottima compagnia che merita senz’altro qualche riflessione.
Mentre il direttore del Foglio, per diminuire Salvini (ma anche Fitto, ma anche Alfano) ha la necessità di metterlo in parallelo con Berlusconi, come per esaltare il gigante rispetto ai nanetti, per me Salvini è stato sempre il nulla incapsulato di suo. Non solo. Il nostro veniva considerato l’eterno pirlone immaturo anche all’interno della Lega, a cui lasciare qualche territorio di scorribanda giovanil-razzista giusto perché il ragazzo si sfogasse e radio Padana è stata utile alla bisogna. Per esempio, mi ha fatto persino sorridere la sua recente incursione in quel campo rom della periferia di Bologna, dove ha trovato esattamente quel che cercava e sperava di trovare, quattro invasati come lui che producessero – tutti insieme appassionatamente – un contesto “situazionista” già brevettato in anni lontani: il provocatore che va dove si immaginerà l’incidente e quattro babbei che naturalmente ne assecondano i desideri. Una roba così frusta, che stupiva ancora l’ingenuità con cui qualche giorno fa Pigi Battista cascava nel vecchio tranello, raccontando sul Corriere che “la violenza mai”. Ma va?
Il destino politico e in un certo senso professionale di Matteo Salvini è anche il frutto della nostra scarsa attitudine a considerare il popolo italiano per quello che è: un insieme di cittadini senza più indirizzo culturale. Un popolo che ha esattamente la televisione che si merita (o forse è la televisione ad avere gli spettatori che si merita?), che ha esattamente i giornali che si merita (come sopra), che ha esattamente gli intellettuali che si merita. Salvini è infelicemente il prodotto di tutte queste debolezze (e molte altre) ed è proprio di queste debolezze che lui è riuscito ad approfittare e su cui sta campando allegramente.
Le “intuizioni” del neo-segretario della Lega fanno naturalmente tenerezza (tutta roba strasentita: no euro, tassare la prostituzione, difesa della famiglia, no ai clandestini, ecc.), ma è la capacità di rappresentarle ai cittadini il suo vero valore. Com’era un tempo, il nostro batte il territorio palmo a palmo, accorcia decisamente le distanze tra il politico e l’elettore, è lui che “disintermedia” ancora più di Renzi, visto che ha meno lacci e lacciuoli del premier. E a noi possibili elettori, a cui hanno tolto praticamente tutto e forse anche la speranza, la sola idea di poter “toccare” dal vivo un politico, ascoltarne la voce, potere discutere fisicamente con lui, beccarlo magari a un gazebo con la tuta da metalmeccanico con su scritto «Lombardia», ecco, tutto questo ci appare come un’inedita riappropriazione di identità. Con tutte le debite distanze del caso, ma proprio tutte, Salvini viene percepito un po’ come papa Francesco, secondo l’idea neanche troppo pazza che se si passa dalle parti di San Pietro il mercoledì mattina, quando il pontefice si fa quattro passi per il “quartiere”, ci sarà il grosso rischio di trovarselo di fronte che ti sorride e ti aspetta per un selfie.
Per cui, ecco dove sta la ragione della nostra debolezza, di Giuliano Ferrara e mia. Conoscere perfettamente Salvini, ma non volerci credere che l’Italia è diventata questa.
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