Governo
W la Repubblica. Fondata sui partiti, o sui capipartito
Sembra trascorso un ventennio da quando l’opinione pubblica chiedeva di porre fine ai “nominati” in Parlamento. Volevamo restituire lo scettro al popolo, chiedendo preferenze e un sistema che permettesse un quadro politico semplificato e magari governi con maggioranze stabili.
Così nacque l’Italicum, che insieme alla riforma costituzionale che depotenziava il Senato privandolo del potere di fiducia, mirava a garantire una maggioranza certa e ad eleggere almeno una quota (circa la metà) dei deputati con il sistema delle preferenze.
La riforma costituzionale, come sappiamo, è stata bocciata dal Referendum del 4 dicembre.
L’Italicum, invece, è stato bocciato dalla Consulta nel febbraio scorso, proprio nella parte in cui era majority assuring, ossia il ballottaggio, con premio di maggioranza annesso.
Il risultato è che oggi ci troviamo una bozza di legge elettorale (sui cui c’è l’accordo dei principali 4 partiti) proporzionale, con liste bloccate e candidati “uninominali”, senza premio di maggioranza e senza la possibilità, per l’elettore, di votare disgiuntamente tra uninominale e circorscrizione plurinominale.
Messa così, non sorprende che ci sia l’accordo tra gli attori principali del panorama politico italiano. Nessuna legge elettorale prima d’ora ha dato tanto potere ai partiti prima del voto (per via delle candidature tutte decise dal vertice) e dopo il voto, avendo la certezza di NON avere alcun vincitore la sera delle elezioni.
All’apice della loro crisi, i partiti italiani – diventati nel tempo poco più che fan club – si riappropriano di un potere assoluto nella selezione dei parlamentari e nelle trattative post-elettorali per la formazione delle maggioranze e dei governi.
Come nella Prima Repubblica dirà qualcuno. Si, ma con tre differenze: 1) c’erano le preferenze; 2) c’erano i partiti; 3) c’erano le ideologie, o quanto meno le aree culturali, a distinguere le compagini politiche e a dare un senso alla rappresentanza.
Domani, di fatto, 4 capi di partito decideranno tutto, senza vincoli: programma a proprio piacimento inseguendo pezzi di pancia elettorale e non derivandolo da alcun sistema di idee e di valori; candidati vincenti in base alla “vicinanza” al leader; alleanze solo post-elettorali perché pre-elettorali non servono più e “legano le mani” inutilmente.
Stando così le cose, potremmo dire che il sistema partitico italiano sarà a breve costituito dalle seguenti formazioni politiche:
- Renzi (e chi dice lui)
- Berlusconi (e chi dice lui)
- Grillo (e chi dice lui)
- Salvini (e chi dice lui)
Il resto al momento è sotto-soglia o quanto meno a rischio, per cui verosimilmente finirà dissolto nel “chi dice lui” di uno dei quattro.
Il mio amico, Mauro Calise, direbbe “è la democrazia del leader”, bellezza. Può darsi.
A me sembra più l’oligarchia dei follower. Quattro ottimi inseguitori di pance, blindati da un cartello oligopolistico in Parlamento.
L’elettore-consumatore, un tempo indignato e rumoroso, si adegua e si omologa serenamente. Anche perché il capo dei più rumorosi è d’accordo e la base si è micro-plebiscitariamente espressa. E’ la forza del marketing (politico) e dell’oblio immediato della democrazia istantanea.
Dal “decidiamo noi” al “decidete voi” in un nanosecondo e senza il minimo fastidio. The show must go on.
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