Governo

Vogliamo essere ridicoli? Allora diciamo tutti insieme che Renzi è un dittatore

28 Aprile 2015

Per virare a regime, una democrazia deve subire autentiche trasformazioni nei suoi gangli vitali: istituzioni parlamentari, formazione delle leggi, mezzi di informazione. Nel corso dei vent’anni che tutti conoscete, citandole in ordine molto sparso, sono accadute le seguenti cose: Berlusconi ha fatto ministro un suo avvocato corrotto (comprava sentenze in nome suo, mica frilli) e il primo dicastero a cui aveva pensato era naturalmente la Giustizia, ha tarato su di sè una ventina/trentina di leggi (chiamate dunque “ad personam”), non ha avuto nemmeno bisogno di stilare una circolare interna perché le sue televisioni hanno ovviamente lavorato per lui e le non-sue (quando era al  governo) anche. Esattamente quanto era necessario a formare quel clima che poteva preludere a un pericolosa deriva politica.

Ecco. Detto tutto questo, e volendo anche molto altro, personalmente non ho mai avuto l’impressione che in quei vent’anni la democrazia italiana fosse lì lì per trasformarsi in un regime paradittatoriale, il cui capo dei capi avesse i tratti del cavalier Silvio Berlusconi. Non ne ho tratto l’impressione fondamentalmente per due motivi. Il primo riguardava esattamente l’interessato, il quale aveva sì della democrazia un’idea molto borderline, ma che nei momenti in cui avrebbe potuto spingere per modificarne definitivamente i tratti distintivi, si è consegnato all’altra parte di sé, a cui segretamente ha sempre creduto, illudendosi appunto d’essere un vero statista al servizio del Paese. Il secondo motivo era il Paese stesso, di cui una buona metà decisamente ostile al Cav., anche se in modo totalmente disordinato. La parte politica, senz’arte né parte e solo strepitando, ha fatto addirittura il suo gioco, così da riuscire, una tra le tante inarrivabili imprese, a non mettere all’incasso neppure una decorosa legge sul conflitto di interessi. Se vogliamo, a togliere quell’aria pesante da arrivo dei colonnelli e semmai buttandola in farsa, ci ha pensato proprio la sinistra italiana, a cui un giorno Berlusconi dovrà finalmente devolvere un sincero ringraziamento.

Avendo passato i vent’anni scorsi in questo modo, non può che spuntare un sorriso malinconico quando da più parti si sente evocare un’aria da regime, quella “democratura” di cui parla Scalfari, attribuendola a gesti, parole, azioni di Matteo Renzi, che tra l’altro sarebbe anche il leader della sinistra. Non si fa fatica a leggere lo stravagante paradosso di una questione così concepita, ma visto che molti ci credono davvero a una possibile deriva autoritaria, sarà utile allora ragionarci su e fare, magari, i paralleli del caso.

Il punto chiave sembrerebbe essere l’Italicum, una legge elettorale ovviamente perfettibile (personalmente trovo più vergognoso il “nuovo Senato”, uno sgavazzo bi-settimanale per consiglieri in gita a Roma, autentico sfregio al decoro delle istituzioni). Qualcuno può dire, con vistosi elementi a carico, che questa legge elettorale esce dall’ambito democratico e si assesta comodamente tra le leggi «ad personam»? No, nessuno potrebbe dirlo senza essere scambiato per un malfidente, visto che la soglia per il premio di lista è stato posta al 40%, cifra irraggiungibile anche per il peggior Renzi (quel 41 delle Europee non si ripeterà). Tutte le sacrosante discussioni, poi, su un Parlamento di nominati hanno titolo per essere poste, ma fanno parte della normalissima dialettica tra le parti e i partiti.

L’impressione di una possibile deriva autoritaria da parte di Renzi scaturisce non tanto da atti precisi e circostanziati, quanto dai suoi atteggiamenti, che rappresentano un mix di decisionismo politico e autoritarismo provinciale, che spesso può sfociare nella visione più liquidatoria dei rapporti umani e politici. La “democratura” nasce lì, in quel luogo del pensiero e quindi fa parte a tutto tondo del “carattere” del leader e non della sua attitudine al fascismo. Molta letteratura sul caso parte evidentemente dal suo rapporto con Enrico Letta e da quel modo anche stupefacente di azzerarne la carriera con un semplice tweet: #enricostaisereno. Se un collega di lavoro ci avesse ucciso così nella culla, di lui certamente ne diremmo tutto il male possibile. Ma sino al punto da considerare in pericolo la democrazia?

Come nella storia di Berlusconi, a cui la sinistra, una certa sinistra, garantì molta più sopravvivenza di quanta ne meritasse, anche nel caso di Renzi si sta producendo analogo meccanismo. Si è formalizzato ormai un anti-renzismo di maniera che valuta come estremo e non rimediabile ogni gesto, ogni pensiero, ogni azione del premier, la cui conclusione non può che essere l’identificazione di quella deriva autoritaria di cui sopra. Invece di scegliere fior da fiore del suo operare di governo, mettendo ora questo ora quello sotto un faro di attenzione, lo si è definitivamente «berlusconizzato».

In questo modo, con questa sinistra, non è peregrino immaginarne un altro ventennio.

 

Post scriptum

Com’era ampiamente prevedibile, Matteo Renzi ha messo la fiducia. Prevedibile anche la bagarre. Ma tutto ha finalmente una sua logica e una sua chiarezza: il premier ha paura, dunque “forza” la situazione, i suoi oppositori – interni ed esterni – hanno la possibilità di mandarlo a casa. Questo in una dittatura non accade.

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