Governo

Vero, Verdini governava con il Pd quando c’era Letta. Ma perché Renzi fa il bis?

5 Ottobre 2015

C’è un mantra che circola tra i renziani più integerrimi: “Verdini era un pezzo della maggioranza quando c’era il governo Letta. Cosa vogliono i bersaniani?”. Anzi per dirla con il super renziano capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato: “Verdini non è un pezzo della maggioranza, lo era quando Speranza era capogruppo”. Così il toscano deus ex machina di Silvio Berlusconi ai tempi del berlusconismo andante, è il nuovo oggetto della discordia tra minoranza del Partito democratico e la segreteria made in Renzi.

L’ex leader dem, Pier Luigi Bersani, ha scritto su Facebook, in modo criptico ma non troppo: «Sembra, e non da oggi, che ci sia una circolazione extracorporea rispetto al Pd e alla maggioranza di governo. Tanta nostra gente pensa che sia ora di rendere più chiaro dove si stia andando, senza cortine fumogene, giochi di parole e battute assolutorie. Anch’io la penso così». Nulla di più della conferma di quanto espresso nei giorni precedenti: niente Verdini “nel giardino del Pd”. Bersani lo aveva sostenuto in tandem con il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: “Oggi che il Pd è unito, Renzi dica no al sostegno di Verdini e al fenomeno dei transfughi in politica”. Un assist comodo alle truppe renziane, pronte a puntare l’indice contro la minoranza, improvvisamente scopertasi anti-verdianiana. Il coro renziano ha intonato all’unisono: nella prima parte della legislatura il Pd sosteneva Enrico Letta con le larghe intese che includevano Forza Italia, quindi anche Denis Verdini. Ragionamento, in apparenza, ineccepibile.

Resta, tuttavia, una domanda da porre: perché mai il Rottamatore dovrebbe seguire le orme del predecessore? Agli occhi di un neofita risulta infatti difficile comprendere perché mai Matteo Renzi debba fare il bis, dando il braccetto all’ex tuttofare di Silvio Berlusconi proprio come avveniva nell’epoca dell’esecutivo Letta. Come replica il capogruppo a Montecitorio Ettore Rosato dice: ma ora Verdini, con il suo gruppo Alleanza liberalpopolare-autonomie (Ala), non è in maggioranza. Tutto vero. Ma il soccorso alla maggioranza nelle votazioni al Senato è arrivato sempre nei momenti più opportuni sulle riforme. I più smaliziati conoscitori delle cronache politiche hanno compreso che non si tratta pura casualità. Lo stesso senatore ex berlusconiano si è intestato il merito di “risolvere problemi” in Aula, un provetto mister Wolf di tarantiniana (nel senso di Quentin) memoria. Ora sulla riforma del Senato, in futuro magari sulla Legge di Stabilità.

Dietro questo – teoricamente incomprensibile – abbraccio di Renzi a Verdini si celano due movimenti in atto: il primo riguarda la necessità di far andare avanti la legislatura a qualsiasi costo; il secondo è relativo al cambiamento del dna del Pd, nella direzione del Partito della Nazione che Renzi immagina come punto di approdo ideale. Non a caso il presidente del Consiglio ha cercato di rimodellare l’immagine di ‘Belzebù Denis’ (almeno per la sinistra Pd), spiegando che in fondo non è “il mostro di Lochness” e che quindi i suoi voti sono “benvenuti”, come aveva detto il vicesegretario dem, Lorenzo Guerini. Quei voti verdiniani che oggi arrivano da ‘quasi alleati’ in Aula e che – chissà – domani potrebbero arrivare da veri alleati nelle urne elettorali…

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