Governo
Ventiquattro mesi dopo, il bilancio è davvero così positivo?
#ventiquattro: nei giorni scorsi, con questo hashtag, Matteo Renzi ha festeggiato i due anni del suo governo. Due anni, ventiquattro mesi, festeggiati con ventiquattro relative slide che raccontano i suoi successi. C’è da dire che a Renzi, fino ad oggi, è andata piuttosto bene: gli alleati di governo non lo spaventano più di tanto, l’opposizione interna al partito è praticamente neutralizzata, la condizioni internazionali (come ad esempio il quantitative easing e il prezzo del petrolio) sono a lui favorevoli, il consenso tutto sommato regge e lui continua a dettare l’agenda in modo più o meno indisturbato. La sua spinta rottamatrice, il suo correre per non perdere tempo ha effettivamente giovato al Paese, ma non a tutto. Per uno come me che ha guardato con interesse a Renzi dal 2011 e lo ha sostenuto dal 2012, questa cosa non può lasciare indifferente.
Se infatti un pezzo d’Italia appare vivere in un nuovo slancio, l’altra parte sembra ancora ferma nella sua vecchia condizione. Non è mia intenzione contestare i dati comunicati da Renzi, ci mancherebbe altro, mi limito solo ad osservare come non raccontino tutto nella sua interezza. Del resto il governo fa la sua propaganda, ed è giusto che sia così, cercando di mettere il risalto quanto di buono fatto fino ad ora: è assurdo, come fa qualcuno, chiedere che facciano un’informazione imparziale. Quella dovrebbe essere compito della stampa che in Italia, purtroppo, è spesso non all’altezza del proprio compito. Il punto è che che molti di quei risultati sono stati conseguiti raggiungendo degli accordi peggiorativi rispetto alle premesse e alle promesse fatte da Matteo Renzi prima di arrivare a Palazzo Chigi: per usare un termina molto in voga in questi anni, si è formato un grande spread fra quello che fu promesso allora e quello che è stato realizzato poi.
Per giustificare questi accordi al ribasso Renzi usa la scusa di un parlamento non suo, formatosi in seguito alla vittoria dimezzata alle politiche del 2013. Che tecnicamente è vero e ha ragione, ma alla lunga stanca e diviene inaccettabile, diventa la comoda scusa per giustificare accordi che hanno una visione temporale di breve o medio termine. Sono rari i casi in cui ha imposto visioni più lunghe, quelle proprie di un vero riformatore: praticamente lo ha fatto con la riforma costituzionale, e con una riforma del lavoro che non ha soddisfatto appieno praticamente nessuno. Voler portare a termine la legislatura con un Parlamento che non gli assicura la totale libertà d’azione che vorrebbe rischia di essere pericoloso, una forzatura che potrebbe togliergli molto smalto al prossimo appuntamento elettorale. Sarà per questo che tira il freno davanti a progetti che abbiano un respiro più lungo della prossima legislatura?
Intanto la base che tempo fa formava la sua spinta propulsiva di rottamazione e profondo cambiamento si è già disgregata, con ampie parti che si tengono in disparte a osservare. Lo si nota poco perché al loro posto è arrivato un po’ la qualunque, anche figure che avrebbero potuto/dovuto essere rottamate. Una sostituzione che permette a Renzi di poter contare su un consenso pressoché stabile, ma profondamente cambiato nella sua composizione interna. Un sempre crescente numero di persone inizia ormai a parlare di “rottamazione mancata”, di processo di rinnovamento troppo precocemente arrestato, sacrificato sull’altare di una realpolitik che lascia l’amaro in bocca. E a peggiore la situazione c’è il fatto che quelli che provano a farlo notare vengono tacciati di essere dei gufi, dei disfattisti. O si è con Renzi sempre, oppure si viene classificati come oppositori, come dei “gufi”.
Temo che ormai Renzi si trovi comodo così, in una dialettica che divide tutto in due: chi è totalmente con lui e chi invece gli è contro. Le sfumature intermedie non sono ammesse, anzi dirò di più, sono viste quasi con terrore, ma non tanto da Renzi stesso quanto proprio dai vari inner circle che lo attorniano, sempre più attenti a togliergli ogni sassolino dalla strada piuttosto che fargli fare delle figure da vero riformatore, da vero innovatore. Sono tutti preoccupati di fargli fare ogni volta la figura migliore possibile da risultare a volte imbarazzanti nelle cose che organizzano. È un problema di classe dirigente, che Fabrizio Goria accenna parlando della deriva dell’Italia innamorata del complottismo: non ci sono cospirazioni internazionali contro qualcuno, semmai una drammatica impreparazione dei cosiddetti corpi intermedi, incapaci di supportare quel cambiamento tanto promesso e tanto atteso.
Il bilancio di questo due anni, per me, risulta quindi un insieme di luci e ombre che non può soddisfarmi. Il pensiero di dover aspettare il 2018 prima di veder cambiare la composizione di questo Parlamento mi angoscia, perché mi rende chiaro il problema di un governo che dovrà continuare a ricercare coi propri alleati degli accordi al ribasso rispetto ai progetti iniziali. Questo significa altre rinunce, altre riforme dimezzate, altre frustrazioni da dover gestire e sopportare, come l’ultima sulla unioni civili. Quest’anno diverrà operativa la nuova legge elettorale, e probabilmente in autunno potrebbero essere confermate le riforme costituzionali: questo potrebbe permettere di far saltare il banco in ogni momento per tornare a votare, cosa che restituirebbe a Renzi il ruolo della lepre, il ruolo di colui che vuole correre veloce per recuperare tutto il tempo perso nei decenni precedenti. Serve però che Renzi faccia un piccolo passo indietro, riconoscendo gli errori commessi in questi due anni e ammettendo, almeno a se stesso, che questa situazione diventa ogni giorno sempre più insopportabile. Il 2018 è ancora troppo lontano, e i sogni rischiano di infrangersi molto velocemente.
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