Governo
Vannacci e Salvini sono gemelli diversi, ma chi rappresenta i produttori?
Due giorni fa mi è capitata sulla timeline di Facebook la clip esilarante del primo film di Checco Zalone, nella quale è un cantante mandato per uno scherzo crudele a Milano a intrattenere una convention di un partito del Nord con i fazzoletti verdi dicendogli che avrebbe cantato per una convention di calabresi. Zalone attacca una canzone sul Ponte sulla Stretto e viene cacciato via dalla folla inferocita. Potere divinatorio del cinema…
Oggi, come passa il tempo, il Segretario nazionale di quella stessa forza non solo è il principale sostenitore dell’Opera Pubblica Meridionale per eccellenza, ma ha candidato alle elezioni europee, capolista in un turno elettorale che porterà probabilmente pochi leghisti a Bruxelles, la neo-star del conservatorismo più conservatore: il Generale Roberto Vannacci. La base, per quanto le basi contino oggi nella politica turboliderista, non l’ha presa tanto bene: non è dei nostri, hanno detto, e l’autore de “Il mondo al contrario”, cui non difetta una certa nettezza di pensiero, promette una campagna elettorale scoppiettante, dalla reintroduzione delle classi differenziali a chissà che cosa. E, dovrebbe capire chi si stupisce per l’innesto, lo fa a pieno titolo, anche culturale: la Lega di Salvini è un esperimento di partito ultraconservatore nazionale cresciuto all’interno di una forza che era nata con i medesimi toni ruvidi, ma con presupposti in gran parte altri.
Era, quella Lega, il grido di rabbia dei ceti produttivi del Nord, dell’impresa diffusa, verso l’involuzione del Paese: era saltato il punto di equilibrio, il patto fiscale (mano libera contro spesa pubblica) non teneva più, e le partite IVA volevano rovesciare il tavolo. Poi la simbologia, il colore, era assai poco sofisticata, anche greve, ma dietro c’erano i produttori, ossia quello che rendeva, e rende, il Paese la seconda manifattura europea, i loro dipendenti e le loro famiglie. Non solo tanta roba e tanto PIL, ma anche un impasto di forconi e innovazione, dialetto e globalizzazione, che troppi osservatori hanno liquidato come solo retrivo. Era molto di più, e anche quando era troppo barbaro, c’era una vitalità operosa, la coda di tanta energia anarchica che ha fatto la fortuna di questo Paese.
Il progetto ultraconservatore di Salvini e Vannacci parla sempre meno ai produttori e sempre di più alle nonne, spaventate da troppe facce scure in circolazione e nostalgiche di quando si poteva lasciare la porta aperta. Non è un capitale da poco, nel terzo Paese più vecchio del mondo (leggessero i politici qualche libro, o anche bigino, di demografia, non gli farebbe male), in cui stiamo diventando tutti vecchi e il futuro sembra molto più brutto del passato.
Non è nemmeno uno scandalo, lo dico avendo tutt’altra sensibilità dei nostri gemelli su quasi tutto: uno è perfettamente titolato a pensare quello che pensa il Generale e, invece di frignare sempre e solo al Fascista per gonfiare la propria bolla, chi non la pensa come lui dovrebbe cominciare a porsi seriamente il tema di come mai tanti potenziali elettori (se saranno tanti elettori veri vedremo, che la stampa inzuppa il pane dei nuovi mostri con lubrica indecenza) sono così arrabbiati e/o disperati da seguire un pensiero così francamente retrogrado.
Siccome in politica le coperte sono corte, l’abbraccio al bisogno di protezione delle nonne non poteva non avvenire a scapito dei bisogni dei figli e dei nipoti delle nonne stesse, che non sono in poltrona a guardare Rete 4 ma nei capannoni a cercare di raddrizzare un mondo che va anch’esso la contrario, ma non nel senso che dice Vannacci. Si reclamano tasse più basse e minor spesa pubblica, il contrario di quota 100 e del Ponte sullo Stretto, addirittura non meno, ma più immigrati. Perché se è vero che si stava meglio quando tutti in paese si conoscevano, parlavano lo stesso dialetto e pregavano nella stessa chiesa, senza Pavel e Irina, Mohammad e Fatima non c’è più nessuno che manda avanti la produzione. I produttori possono essere anche socialmente molto conservatori, ma sono pragmatici, ossia il contrario dell’ideologia, di destra o di manca. Le immigrazioni di massa, torno lì perché la demografia è la penna che sta ridisegnando il nostro mondo, nessuno le ha mai davvero volute: si subiscono perché non si possono fermare e si metabolizzano con pragmatismo, per poi vederne nel tempo i benefici. Quasi sempre i produttori sono gli elementi praticoni che mentre gli altri parlano, incollano quello che sembra non stare insieme.
Oggi, con la Lega a trazione Vannacci, il PD tutto spostato sugli attivismi e i diritti civili, i liberal che fanno a cazzotti come i capponi di Renzo e il partito di maggioranza che ancora non sa precisamente cos’è, lo spazio di rappresentanza dei produttori si è quanto mai ristretto e la loro voce in Europa non parlerà molto in italiano.
È un problema, ben più grave delle amenità del Generale e della dabbenaggine di chi lo segue.
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