Governo

Il marketing di Giorgia la moderata: tra manipolazione collettiva e realtà

4 Ottobre 2022

La percezione pubblica della presunta moderazione di Giorgia Meloni ha sconcertato molti negli ultimi mesi di campagna elettorale. Frutto di un abile posizionamento su questioni internazionali (l’atlantismo e le rassicurazioni sul debito pubblico), ma anche di uno sdoganamento politico e culturale (su tutti il lavoro del Corriere della Sera), molti hanno denunciato la natura illusoria di questa percezione e la perdita di memoria del pubblico italiano, che avrebbe dimenticato l’origine e la storia di Fratelli d’Italia. Tutto questo è vero ma non basta a spiegare un fenomeno complesso che non può essere ridotto a un mero inganno collettivo. Il paradosso sta non tanto nella riuscita opera di “democratic-washing” frutto di manipolazione, quanto nella relativa oggettività della moderazione. Ovvero, la percezione di moderazione di Giorgia Meloni è sia un’abile manipolazione collettiva, sia una costruzione reale all’interno dell’offerta politica italiana. Per capire questo paradosso bisogna ripartire dalle basi della comunicazione politica contemporanea.

Marketing politico e posizionamento

Tutti i manuali di marketing politico mettono al centro la questione del posizionamento. Ogni leader o partito politico deve stabilire la propria posizione e renderla pubblica. Il posizionamento è tanto un fatto oggettivo (il partito o leader X sostiene Y riguardo al tema Z), quanto un fatto relativo, cioè dipendente dai posizionamenti di altri leader e partiti. Quindi, molto semplicemente, un partito o leader può avere una posizione per nulla moderata (ad esempio, sull’immigrazione o i diritti LGBT+) ma allo stesso tempo relativamente moderata poiché un altro leader o partito è più estremo e quindi meno moderato. Tutto questo è piuttosto banale e ovvio in astratto, ma anche sorprendente nei casi specifici.

Meloni & Salvini: due parabole opposte

Nel caso della destra italiana, infatti, la costruzione della moderazione meloniana, prima di essere una ripulitura degli ultimi mesi, è emersa nel confronto con l’offerta politica e simbolica della lega salviniana. È diventato un luogo comune sostenere che Matteo Salvini si sia suicidato politicamente con le sue scelte all’apice del successo nell’estate del 2019. Altrettanto risaputo è che la beneficiaria del declino di Salvini è stata Meloni.

La parabola ascendente di Salvini è stata giocata secondo una dinamica di ricerca esponenziale di visibilità in ogni ambito politico (sicurezza, immigrazione) e personale con le note foto di felpe, sagre di paese e cene con piatti popolari. Salvini ha da un lato cercato di far identificare il pubblico fornendo di sé un’immagine apparentemente speculare a quella del suo elettore tipo; dall’altro ha estremizzato le sue performance pubbliche alla ricerca di una sempre maggiore visibilità e copertura mediatica (si ricordi la grottesca e umiliante scena del citofono). Fino a tre anni fa, nei momenti di massima ascesa salviniana prima del suo harakiri, Giorgia Meloni risultava spiazzata: Salvini superava Meloni nel gioco che lei stessa stava giocando, rubandole il palcoscenico del posizionamento sempre più radicale sui temi cari alla destra.

Con l’inizio della parabola discendente salviniana, frutto dell’errore strategico della caduta del primo governo Conte, Salvini ha continuato a giocare il proprio ruolo che però ha iniziato progressivamente a risultare sempre più macchiettistico, poiché interpretato da un uomo che non aveva più il pallino del comando. Nel frattempo, Meloni ha iniziato a godere di una rendita di posizione: non essendo riuscita a superare Salvini nel gioco della visibilità grottesca, ha iniziato ad apparire relativamente più moderata, posata, seria pur sostenendo sostanzialmente le stesse posizioni politiche di Salvini.

Stando letteralmente ferma nel posizionamento politico, ha iniziato a diventare più credibile, in primis per l’elettorato di destra, rispetto all’autodistruzione dell’altro. In questo ha finora mostrato una certa bravura comunicativa e un certo physique du rôle: più abile nei comizi e più pronta nei dibattiti televisivi, nella sua nota autobiografia ha anche costruito un’immagine di donna fiera e capace di superare le avversità. Inoltre, pare aver imparato la lezione della politica iperbolica della comunicazione digitale dell’ultimo decennio: leader apparentemente popolarissimi (Renzi, Salvini) si sono autodistrutti nella ricerca del colpo finale di conquista del potere. Pazientemente si è fatta trasportare dalla marea generata dal declino del suo competitor di area, così come dalla debolezza politica e identitaria del centro-sinistra e dei Cinque Stelle. Nel sottolineare gli errori altrui, non si deve sottovalutare la capacità di gestire la fortuna. Già Machiavelli notava che il politico abile è colui o colei che sa prendere il momento propizio e soprattutto approfittare della debolezza altrui.

Posizionamento futuro

Se qualcuno deve essere imputato per aver creato l’impressione di moderazione di Giorgia Meloni, costui è Matteo Salvini, con la sua parabola di spostamento dell’offerta politica al parossismo di destra. Meloni, fortunata, scaltra e paziente ha atteso la fine di un percorso che nel relegarla inizialmente in una posizione di secondo piano, le ha di fatto creato il terreno per una consacrazione finale. Gli ultimi dettagli di rassicurazione internazionale e il risaputo fenomeno del salto sul carro del vincitore (effetto bandwagon) hanno completato il quadro. Cosa sarà di questa moderazione costruita ad arte costituirà il tema politico dei prossimi mesi. Se sembra probabile che dal punto di vista macroeconomico e di politica estera non vi saranno grandi cambiamenti, si dovrà vedere se la ricerca di radicamento sociale verrà effettuata da coerenti politiche sociali (su immigrati, famiglia, diversità) o soltanto da un’occupazione militare del potere.

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