Governo

Tattica, propaganda e poca politica. Al nuovo Pd manca il coraggio delle idee

28 Febbraio 2020

«È arrivato il tempo di camminare insieme», ha detto il 23 febbraio scorso Valentina Cuppi nel suo primo discorso da presidente del Partito democratico. Alludeva alla propria storia, vissuta fuori da quel partito e ora lì confluita. Non ha spiegato, però, «camminare insieme» per andare dove.

Del suo intervento all’assemblea nazionale del partito, infatti, si è colta la trama tattica, significativamente la stessa che era evidente anche in certe dichiarazioni che Goffredo Bettini aveva rilasciato ai giornalisti poco prima. Non molto, invece, è emerso in quanto agli obiettivi politici. E questo già dice qualcosa sul ruolo che Valentina Cuppi è stata chiamata a svolgere alla presidenza di un partito al quale sino a qualche ora prima non era neppure iscritta.

«Non ho mai parlato di una operazione responsabili ma di una necessità di allargamento della maggioranza», aveva spiegato Bettini. Quindi aveva aggiunto: «Questo allargamento impedisce a chiunque, non solo a Renzi, di porre dei veti». Insomma, più che sostituire pezzi della maggioranza con un gruppo di nuovi Scilipoti, l’idea era di aggiungerne di nuovi, andando a pesca sia tra chi già siede in parlamento, sia tra chi galleggia altrove. Poi, se qualcuno, a partire da Renzi, dovesse rompere con la maggioranza, se ne assumerebbe la responsabilità politica. Ma i numeri in parlamento sarebbero comunque al sicuro. Questa, almeno, è la speranza da quelle parti.

Una figura come quella rappresentata da Cuppi potrebbe tornare per questo molto utile. Non a caso, si è molto insistito su certe sue caratteristiche: non era iscritta al partito, è sindaco di Marzabotto, è di sinistra, ha un rapporto con le Sardine. Il fatto è che tutto ciò – al di là del suo apparire come una operazione fatta in lavoratorio per strizzare l’occhio a chi si vorrebbe riportare a casa – pare rispondere non tanto a ragioni di strategia politica quanto invece a una preoccupazione di natura meramente tattica: fare fronte comune contro Matteo Salvini.

Non a caso, sia Cuppi sia Bettini hanno collegato funzionalmente le cose, utilizzando parole molto simili. «Di fronte alla disumanità, al razzismo, alla ferocia della peggior destra che la mia generazione e abbia mai conosciuto – ha detto Cuppi all’assemblea nazionale del Pd – è arrivato il tempo di prendersi per mano, di iniziare a unire e non dividere, di allargare e non restringere». Bettini si era limitato a definire «brutale» la destra ma il succo è lo stesso. Insomma, nel Pd hanno di nuovo esposto la tattica, tacendo la politica, poiché è evidente che la politica è altra cosa dal definire se stessi e la propria identità contro qualcuno e non, appunto, sulle idee.

Anche la recente scelta di Emanuele Felice come responsabile economico del Pd aveva suscitato qualche entusiasmo e la speranza di una iniezione identitaria. Con la sua nomina, aveva scritto Piero Ignazi, «il Pd manda alle ortiche il neoliberismo che lo ha avvolto e soffocato per tanti anni». E però nelle parole che Felice ha affidato di recente a Repubblica non c’è nulla che cambi in modo sostanziale l’orizzonte politico o che almeno annunci quel cambio. C’è, se va bene, un accenno di cambio di prospettiva. Ma siamo all’ordinaria amministrazione.

Insomma, comunque la si voglia vedere, non pare che il Pd abbia intenzione di svincolarsi dalla visione liberale o – ma quando va proprio bene – riformista della società che l’ex sinistra italiana ha abbracciato all’alba della seconda repubblica e poi non ha più abbandonato, finendo per collocare se stessa sempre di più in un’area tradizionalmente collegata al mondo moderato, quando non esplicitamente di centrodestra. Nel frattempo, al di là delle mozioni degli affetti e di qualche raccolta di firme, non sembra che sinora ci siano molti argomenti per rassicurare chi vorrebbe un partito non più succube dell’agenda politica altrui e in grado di dotarsi finalmente di una identità politica chiara. A dircelo sono i fatti che – dalla vicenda dei decreti sicurezza a quella della prescrizione, con tutto ciò che sta nel mezzo – smentiscono ogni parola spesa, ogni promessa e tutto ciò che sinira s’è gravemente ma sterilmente annunciato.

La fortuna del Pd in questo momento sta nel fatto che si trova di fronte forze politiche che, pur potendo contare su un certo vantaggio come la Lega, stanno messe persino peggio – come la stessa Lega o il partitino renziano – in quanto a prevalenza della tattica sulle idee, e sono per questo disperatamente in cerca di visibilità, come traspare da certi atteggiamenti debitori più della propaganda che della elaborazione politica. Non è un caso che – con atteggiamento persino nichilista – alcune di quelle forze politiche siano tornate alla carica con l’idea di un governo di larghissime intese, e dunque con tutti dentro, da allestire per affrontare questa fase condizionata dall’allarme sanitario.

A questo proposito, è davvero difficile dar torto a Ezio Mauro quando scrive che «l’allarme sanitario che verrebbe invocato come ragione necessaria di un concorso politico generale, non è ragione sufficiente. Addirittura non è ragionevole» poiché «il Paese che trova maggioranza e minoranza concordi sulle linee d’intervento contro il virus sarà sicuramente più rassicurato che da un governo-omnibus tra forze così diverse da essere incompatibili e improduttive, dove si smarriscono ogni fisionomia politica e tutte le identità per precipitare nell’indistinto emergenziale, senza che per fortuna sia suonata la campana dell’emergenza».

In questo deserto, a combattersi soltanto sul piano della propaganda e della tattica si perde tutti. Servirebbe la politica. Purtroppo, la scelta di Cuppi, le prime parole che sono state pronunciate, le modalità con le quali ogni cosa è avvenuta, suggeriscono ancora una volta di smorzare certi entusiasmi. S’è vista molta tattica, s’è ascoltato il solito proclama contro il nemico comune ma, se ancora la politica è fatta di idee e del coraggio di trasformare in azioni quelle idee, allora la politica è mancata.

È da venticinque anni che dalle parti di quello che oggi è il Pd si cerca di costruire qualcosa mettendo insieme storie diverse senza però far nascere idee nuove. Finora, mancando il coraggio di dare alla tattica il respiro della strategia, mancando insomma la politica, è sempre andata maluccio. Né è servito a molto proclamare l’emergenza democratica permanete contro un nemico comune.

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