Governo
Tagli di tasse nel 2016: si scrive 23, si legge 3
(Fonte: lavoce.info)
Con la legge di Stabilità il governo taglia le tasse, con l’intento di dare un sostegno all’economia. E lo fa in deficit. Ma più che ridurre imposte in vigore, la manovra evita che scattino le clausole di salvaguardia previste dalle passate finanziarie. Finzioni contabili e (poca) spending review.
Più impegni e più risorse nella legge di Stabilità 2016
In attesa del testo definitivo della legge di Stabilità 2016 approvata dal governo, si può comunque fare un riassunto delle sue implicazioni contabili grazie al comunicato stampa emesso quasi contestualmente alle slide presentate e commentate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.
La tabella presentata in fondo al comunicato del governo riclassifica e raggruppa le voci che, all’interno dei 26,5 miliardi di impegni, rappresentano minori entrate e maggiori spese e quelle che, all’interno delle risorse per finanziare gli impegni, rappresentano maggiori entrate e minori spese. Dalla tabella qui riportata sono escluse le riduzioni di entrata (taglio Ires) e aumenti di spesa (per edilizia scolastica) che il governo vorrebbe finanziare con ulteriore flessibilità Ue (“clausola migranti”) per altri 3,1 miliardi che farebbero salire la manovra a 29,6 miliardi. Già si sapeva che, come ad esempio descritto in un pezzo precedente su lavoce.info, la manovra taglia le tasse in deficit. Dalla tabella si impara qualcosa in più, e cioè che il taglio di tasse vero è piuttosto marginale, di circa 3 miliardi. Vediamo perché.
Clausole di salvaguardia che non salvaguardano
L’intento dichiarato del governo è quello di dare un sostegno all’economia soprattutto con riduzioni di imposta. Il che – dice la tabella – avviene per 22,8 miliardi di euro (disinnesco della clausola di salvaguardia, cancellazione Imu e Tasi su prima casa, rifinanziamento di una decontribuzione più contenuta sui nuovi assunti a tempo indeterminato, super-ammortamenti e altre voci più piccole). Tali riduzioni di imposta rappresentano l’85 per cento dei 26,5 miliardi di euro di impegni aggiuntivi inseriti nella legge di stabilità.
Ma parlando di impulso all’economia bisogna sottrarre dal conto le entrate aggiuntive contabilizzate. La prima riguarda il rientro dei capitali dall’estero per 2 miliardi. E’ una voce una tantum che fa tornare in circolazione senza sconti denaro perso in meandri esteri e che d’ora in avanti contribuirà all’accertamento di base imponibile futura. Poi ci sono imposte temporanee e permanenti sui giochi per un miliardo. Per affrontare la piaga della ludopatia, meglio sarebbe tornare al monopolio delle lotterie nazionali. Ma se non si vuole seguire questa strada, quella sui giochi è una delle tasse più giustificabili. In ogni caso, tolti i tre miliardi di queste voci, la riduzione di entrate nette scende a 19,8 miliardi.
C’è però da distinguere gli effetti contabili da quelli veri, gli unici che contano per i contribuenti. Il calo di entrate per 19,8 miliardi è infatti calcolato rispetto alla legislazione vigente che include lo scatto delle clausole di salvaguardia, cioè degli aumenti di Iva (per 2 punti percentuali) e altre accise sui carburanti per un totale di 16,8 miliardi a partire dal primo gennaio 2016. Tali incrementi di imposta – introdotti da finanziarie precedenti per far quadrare i conti degli anni passati – saranno cancellati se la legge di stabilità sarà approvata. Ma, val la pena di ricordarlo, l’eliminazione delle clausole di salvaguardia è un pericolo scampato, non una riduzione di imposte in essere. Difficile credere che qualcuno abbia anticipato al 2015 l’acquisto di un bene durevole per non pagare l’Iva aumentata nel 2016. Ugualmente improbabile che la cancellazione di un aumento di imposta non ancora contabilizzato nei piani delle famiglie possa indurle a consumare di più nel 2016.Insomma, i 16,8 miliardi di minori entrate dal disinnesco delle salvaguardie sono poco espansivi. Ma se dai 19,8 miliardi si sottraggono i 16,8 miliardi delle clausole di salvaguardia, i veri tagli di tasse si riducono a tre miliardi, cioè a un modesto 0,2 per cento del Pil.
Peraltro, il pericolo per ora non è veramente scampato ma rinviato al futuro, come si capisce dai 14,6 miliardi di “flessibilità Ue” (cioè di maggiore deficit) che compaiono tra le risorse impiegate per finanziare gli impegni. Il disinnesco con rinvio delle clausole di salvaguardia (anziché con minori spese “vere” o maggiori entrate “vere”) porta a chiedersi se queste non siano altro che una pura finzione contabile. Se sì, giustamente gli italiani non le prendono sul serio. Avanti di questo passo, però, oltre agli italiani, un giorno anche la Ue e i mercati potrebbero smettere di prendere sul serio questi impegni a scadenza, crescenti di anno in anno e disattivati nell’anno successivo. Le conseguenze sarebbero facilmente misurabili: una procedura per disavanzo eccessivo da parte di Bruxelles o un aumento dello spread sui titoli pubblici italiani da parte dei mercati. Per ora i chiari di luna sono molto diversi. La prospettiva per il governo è di continuare a godere della luna di miele dei bassi tassi sul debito garantiti dal quantitative easing della Bce e dalle esitazioni della Federal Reserve di fronte al rialzo dei tassi Usa. Ma l’esigenza di arrivare a una spending review più incisiva che consenta una più corposa (e più vera) riduzione delle imposte per gli anni a venire non potrà essere elusa per sempre.
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