Governo

Sinistra Pd, così altro che Speranza nel futuro

15 Marzo 2016

L’intervista di Massimo D’Alema sul Corriere della Sera è stata l’ultimo atto – forse il più sobillatore e carismatico allo stesso tempo – della battaglia campale condotta dalla sempre più minoritaria corrente della Sinistra Pd (coloro che avevano sostenuto la candidatura a segretario del partito di Gianni Cuperlo e che nel tempo hanno perso diversi sostenitori, dai Giovani Turchi di Matteo Orfini ed il ministro Orlando a Sinistra è cambiamento del ministro Martina) contro il segretario premier Matteo Renzi. Il tono ed i contenuti della contesa sono arrivati ad un livello allarmante, più da avversari politici che compagni di partito. Ma tutto ciò è giustificato? Tutto ciò, soprattutto, è compreso da simpatizzanti ed elettori? I sondaggi e le analisi demoscopiche dicono di no. Questo fantomatico popolo della sinistra che si starebbe allontanando dal Pd non sembra essere approdato in nessun altro lido più ospitale. Semmai è stato rilevato come l’intero sistema politico continui a perdere attenzione e partecipazione (il celeberrimo astensionismo, che forse invece dovrebbe essere letto come il possibile svecchiamento del rapporto degli italiani con la politica, superando definitivamente un identitarismo ideologico per un approccio più pragmatista e disinteressato).

Le parole di D’Alema evidenziano, dunque, come la partita sia essenzialmente di potere: un gruppo dirigente di ventennale durata che ha, per lo più, perso l’occasione di guidare il Paese verso la modernizzazione – vivendo le sue brevi e rissose esperienze di governo nella totale subalternità culturale e socioeconomica verso il pensiero dominante del liberismo politico – è stato estromesso dai vertici del partito da una nuova leva, più giovane e moderna, a causa delle sconfitte disarmanti subite nel tempo, ultima e più grave la non vittoria di Febbraio 2013. Questa nuova dimensione – quasi ontologica più che antropologica – di minoranza non è mai stata contemplata, e per questo non riesce ad essere vissuta nel segno della lealtà e della dialettica. Gli identitari (con l’eccezione personalistica di Civati) come Fassina o D’Attore sono fuoriusciti (i quali sarebbero dovuti essere la nuova generazione di questo mondo oggi minoritario nel Pd, esempio per comprendere la scarsa maturità politica e culturale consegnata come lascito dai vari Bersani e co.), i più burocratici sperano invece di logorare Renzi ed il governo con una battaglia di retroguardia – affidandosi cioè ad una linea di vietnam parlamentare permanente – potendo così poi riconquistare la leadership del partito ora espropriata quasi da degli sconosciuti. E’ evidente quanto sia poco lungimirante una strada del genere, una personalità come Walter Veltroni ha spiegato che così si giungerà solo al ritorno della restaurazione al potere delle Destre, compromettendo per molti anni la possibilità di un riformismo al governo.

Certo Renzi ed il suo gruppo dirigente non sono immuni da errori, D’Alema ha ragione quando delinea certa arroganza ed autoreferenzialità, forse anche riflettendo sulla propria storia politica. Ma tutto ciò non avrebbe dovuto autorizzare il modo in cui questa parte della minoranza Pd si è comportata finora, e di come in vista di due appuntamenti elettorali importanti – amministrative e referendum costituzionale – abbia deciso di fomentare le polemiche e le accuse. Scegliere infine Roberto Speranza, campione e rappresentante della linea burocratica, come nuovo leader da oppure nel futuro congresso a Matteo Renzi evidenzia – in maniera eclatante – l’allontanamento profondo di tutto questo mondo ormai antico dalla opinione pubblica democratica e progressista: richiamo nostalgico ad una stagione superata  – e per molti versi osteggiata, se non abbattuta, dalle personalità ora inquiete nel difendere l’Ulivismo – invece che puntare a sfidare proprio sul campo dell’innovazione, di un riformismo radicale ed inclusivo, il segretario premier fiorentino.

 

Altro che Speranza nel futuro

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