Governo
Santanché, l’emblema della povertà ideologica dei nostri tempi
Lo sproloquio in Parlamento della signora Santanché è l’indice più genuino che vale a qualificare l’affievolimento della politica come materia non più soggetta a ragionamento. Il tacco dodici d’ordinanza ministeriale e la minuziosa collezione di borse a corredo assurgono, in una concezione santanchetizzata di adeguatezza, a emblema di distinzione morale oltre che di lusso, raffigurando la personificazione di un potere messo sotto accusa, che per difendersi si affida alla griffe e si consacra alla gaffe. Ma, questo ancora non basta per delineare l’atteggiamento incongruo della ministra, che denota qualcosa di veramente raccapricciante: una ineleganza che sfocia nell’arroganza più insostenibile, volta ad esaltare la ricchezza in spregio alla povertà, il possesso dei beni materiali in barba ai bisogni primari della gente comune, l’ottusità dell’anima che si fa beffe dell’intelligenza etica, relativa al comportamento che è del cuore, dei sentimenti popolari, di una conforme percezione di giustezza. Nessuno, come questa “gentildonna” della politica, avrebbe rappresentato per il popolo francese, nel 1789, una ideale testa da far rotolare! Naturalmente, fa piacere che oggi le persone come lei possano sopravvivere alle proprie villanate, non fosse altro per preservare e vedere fatta salva la vita di tante persone, che predisponendosi a un comando diventano teoricamente ghigliottinabili. Pertanto, va da sé che nessuno vuole tagliargliela, la testa, tanto più che ragiona a meraviglia, si fa per dire, confermando meglio di qualsiasi oppositore del governo l’insufficienza di chi sovrintende alle sorti della nazione.
Qualcosa mi suggerisce, tra l’altro, che l’esponente politico in argomento rappresenta la versione italiana e, dunque, satirica, di Madame de Pompadour, oppure il suo emulo più improbabile, fino a raffigurarne una maschera carnevalesca, sì da essere identificabile non nella figura dell’originale a cui, consciamente o inconsciamente, ella si ispira, ma a quella intenzionalmente bizzarra di un modiglianesco soggetto pittorico dai motivi canzonatori, raffigurante una enfatica passeggiatrice della Parigi dei primi anni del ’900, che gli artisti di Montmartre vollero ironicamente soprannominare “M.me Pompadour”. D’altronde, la risposta italiana alla storica arrivista francese, attraverso la sfavillante signora della politica definitasi la “pitonessa”, non poteva essere che una caricatura. Quanto ai fatti della cronaca, ieri con 206 voti contrari la maggioranza di governo ha salvato la ministra Santanché dalla mozione di sfiducia, garantendole di conservare la poltrona, come se i rinvii a giudizio a suo carico, i diversi conflitti di interessi che la riguardano, gli scandali e tutto il resto in cui è coinvolta non costituissero una prova di inadeguatezza conclamata. Vi è da rilevare che neanche ieri vi è stato qualcuno che abbia espresso in Parlamento una argomentata fiducia politica nei confronti della ministra del Turismo. Però, al momento del voto, la destra si è schierata compatta, e come un gruppo di squadristi armati hanno preso le difese della ministra, trincerandosi ignobilmente dietro i numeri della loro maggioranza. Mentre la condottiera, Giorgia, non avendo il coraggio di esibire l’ennesima faccia di bronzo, ha preferito disertare l’Aula, dove i suoi scudieri hanno scelto di proteggere una ministra rinviata a giudizio per falso in bilancio e indagata per truffa ai danni dell’INPS, lasciando dei lavoratori senza stipendio e senza TFR, nonché abusando della Cassa integrazione Covid. Povera Patria! Così, per dire.
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