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Sanità: non basta dare “più soldi”, serve tornare al diritto alla salute

7 Aprile 2024

È  di queste ore un battage pubblicitario e giornalistico sulla sanità che avrebbe dovuto essere condotto prima, quando Silvio Garattini, nel 2016, lanciò l’allarme attraverso la prefazione di un volume sul tramonto del SSN. Certo, oggi grazie alle tante pressioni che da più parti della nazione si levano, qualcosa sembra muoversi ma tutto è nel segno del gattopardesco” diamo più soldi alla sanità” invece che pensare a rivoluzionare la legislazione sanitaria, oggi costituita da leggi di contrasto alla Riforma Sanitaria ideata da Luigi Mariotti (L.833/78) che si ispirava al concetto del Diritto alla salute, primario e universale non ancora applicato. Poi è venuto il Modello privatistico Formigoni che ha devoluto ai privati parte dei fonti pubblici alla ricerca del mito della sussidiarietà. Questo è quello che molti “ Esperti” dicono ma c’è dell’altro.

Prima domanda: come mai oggi si spande a macchia d’olio lo scontento generale mentre negli anni precedenti la L 502/92 che devolveva la sanità alle Regioni, non c’erano liste d’attesa, i cittadini erano contenti di andare al Policlinico ( fosse quello di Catania, il Garibaldi o di Milano quello storico di via Sforza, senza dover prendere un aereo per la “migrazione sanitaria”) avevamo un fondo nazionale la metà di quello odierno e l’anagrafe era più ricca mentre oggi inizia la desertificazione demografica? Alla luce della generale insoddisfazione dei cittadini sul SSN e, in parte anche di molti decisori politici, quanto in appresso sembra confermare le gravi criticità emerse in ultimi due decenni. In estrema sintesi, riassumiamo in alcuni punti cardinali:

a)      Per oltre un ventennio, la sanità lombarda è stata terreno di esercizio della sperimentazione economicistica pubblico/privato allo scopo di verificarne la compatibilità economica inizialmente, come modello politico fortemente voluto dai governi regionali Formigoni. Se la primigenea o “primitiva” idea era quella della sussidiarietà privata, in soccorso del possibile default pubblico per aumentarne le possibilità di soddisfazione della domanda, il risultato si è rivelato insussistente per i seguenti motivi:1. la prima conseguenza si è avvertita nella riduzione degli investimenti pubblici, per la riserva delle risorse alle convenzioni con privati; 2. Detta dispersione dei fondi, devoluta ai doveri convenzionali e riversati sul privato, negli anni ha mostrato una grave criticità: l’inesorabile declino della Scienza Medica Italiana che, da faro europeo, senza investimenti di sostegno nell’era della rapida evoluzione tecnologica, è diventata fanalino di coda, incapace di sopportare i default finanziari, depauperati per versarli ai centri privati.3. Ne è derivata la fuga del personale medico verso condizioni di lavoro più remunerative specie se Regioni come la Lombardia eroga trasferimenti ai privati nella misura di 6,22 miliardi (1/3 circa, 28%, della spesa sanitaria e 19% del GDP lombardo). Una cifra enorme che ha assorbito risorse pubbliche, creato discrasie e bloccata la crescita delle tecnologie sanitarie lombarde. Ne è testimonianza, che in Lombardia soltanto 6 strutture IRCCS (Istituti  Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) sono pubbliche e  ben 14 private.[1] [2]

La soluzione possibile è l’arretramento di questa politica di indulgenza finanziaria sostituendola con investimenti pubblici che, secondo la Teoria di Keynes, nel caso specifico ossia nella materia sanitaria si traduce immediatamente in vantaggi sul reddito della collettività che aumenta in mondo più che proporzionale rispetto gli investimenti assunti e crea un circuito virtuoso da devolvere alle cure.

b)                 l’Aziendalizzazione, ideata per rendere compatibili i bilanci, ha finito per trasformare il malato in cliente, aumentando la concentrazione in poche strutture con un processo centripeto che ha i) desertificato l’offerta di salute nei territori periferici; ii) creato le liste d’attesa, inesistenti quando, a pressoché parità demografica, il Fondo nazionale era la metà di quello attuale. iii) reso i costi tecnologici più alti e soprattutto, sotto il profilo etico, ha trasformato i soldi dei contribuenti in fondi da gestire con criteri non solo manageriali ma di puro profitto, al limite della costituzionalità. Questi due momenti cruciali, Sussidiarietà e Aziendalizzazione, hanno creato le premesse per un potenziamento del default rendendo inaccessibili le cure a milioni di cittadini e spingendo i più abbienti alla salvaguardia assicurativa con una divaricazione sociale intollerabile tra intoccabili e bistrattabili. La soluzione possibile può anche prevedere la sanatoria per l’Istituto Aziendale, salvando la maggior parte delle strutture ma modificando l’impianto funzionale e ripartendo le strutture ospedaliere, monopolizzatrici della domanda di salute, in Aree Funzionali territoriali in ragione della gravità e della importanza della domanda, Presidi territoriali di Primo Livello, Ospedali Clinicizzati di secondo Livello e Aziende per l’Eccellenza, strutture coincidenti con gli attuali IRCCS. Ai quali vanno indirizzati gli investimenti pubblici, con una selezione accurata rispetto a quelli privati o appartenenti ad altro Stato.

c)                  La Regionalizzazione, ben lungi dall’interpretare correttamente l’art. 117 della Cost., ha creato 20 Sistemi Regionali differenti, trasformando il Servizio Nazionale in Sistema amministrativo-finanziario-contabile-politico e assorbendo in media circa l’80% del Pil regionale senza assicurare paralleli vantaggi; ha determinato sperequazioni incredibili e acceso le migrazioni sanitarie aumentando i costi, limitando le possibilità d’accesso per i residenti nelle aree di trasmigrazione e relegando le regioni di partenza in aree sempre più destinate al confine scientifico. La soluzione possibile è quella di una revisione delle competenze in senso federalista, e non regionalista, con maggiore controllo legislativo-quadro da parte del Dicastero e limitazioni legislative regionali che non siano inscritte nel quadro federativo. Di certo la Autonomia Rafforzata che esalterebbe queste discrasie è da rigettare mentre si richiede una più incisiva Riforma del Titolo V, invertendo il profilo regionalistico a competenze dirette con quello federalistico (sul modello dei Länder tedeschi) a competenze indirette e coordinate.

d)                 Seconda domanda : che senso ha paragonare la destinazione dei fondi alla sanità , basati sul PIL, con altre nazioni che hanno economie diverse dalla nostra, necessità sanitarie altre e magari sono più ricche di noi? Se non bastano i fondi non è perché abbiamo necessità emergenti. Non nasce il legittimo dubbio che siano spesi male anzi malissimo da 20 sistemi regionali di cui 15 ancora in Piani di rientro?

Cosa dice la Corte dei Conti? Nella Inaugurazione del suo A. G., 2024, la VPG Dr.ssa Chiara Vetro, nella sua Correlazione (Capitolo II) osserva[3] che “quanto alla spesa sanitaria corrente espressa in percentuale del PIL, a legislazione vigente, i valori previsti sono: 6,6% per il 2023; 6,2% per il 2024; 6,2% per il 2025; 6,1% per il 2026. Quindi, la disamina dell’andamento della spesa sanitaria, rispetto al 2022, evidenzia che essa è aumentata del 2,8%, anche se ridotta dal 6,7% al 6,6% in termini di percentuale di PIL.” Gli sforzi del contribuente, malgrado la flessione del PIL, sono valsi a rendere costante il Fondo sanitario, e anzi ad assicurargli una crescita del 2,8% di grande compatibilità contabile. L’adeguamento del Fondo sanitario standardizzato al PIL ha prodotto un fondo perequato di circa 136 miliardi di euro, raddoppiandolo rispetto gli standard antecedenti all’istituzione della regionalizzazione (L.502/92) cui va sommata la quota di spesa sanitaria privata che ammonta a circa 37 mld (tot 173 mld). Come direbbe Totò: ma chi li ha visti mai 173 Mld. Sono tanti in effetti e fanno gola. Paradossalmente, tuttavia, la crescita dei trasferimenti ha contribuito fortemente alla desertificazione dell’offerta sanitaria ed allo scontento del cittadino malato. Nel 1992, anno dell’entrata in vigore della regionalizzazione sanitaria e sua trasformazione da Servizio in Sistema, il fondo era, con una ipotetica equiparazione di conio all’euro, non ancora in vigore, di 68 miliardi, la popolazione vantava solo 2 milioni di abitanti in meno, eppure le liste d’attesa erano pressoché inesistenti e da più parti si identificava il SSN come esempio migliore di quello del Regno Unito sul cui solco fu costruito. Oggi, inoltre, si va riducendo l’aspettativa di vita, da 85.6 a 82,7 e i decessi sono aumentati negli ultimi venti anni ( 557 mila nel 2002 a fronte dei 714 mila nel 2022), le necessità reali sono minori eppure il paziente paga la sua salute quattro o cinque volte: a)contribuzioni e tassazioni dirette,b)indirette, c)spese specialistiche intramoeenia o private, d) ticket, e) spesa farmaceutica privata.

Se oggi sommiamo la dispersione di rivoli di bilancio in appalti differenziati per Regione, l’aumento della filiera amministrativa in surplus per motivi clientelistici, le cattedre autofinanziate, si comprende perché nel 2009[4], ben 15 Regioni siano scivolate in Piani di rientro per l’eccesso di spesa ed alcune di esse ancora non sono pervenute al pareggio del bilancio. In Regione Lombardia l’effetto più dirompente si è avuto con la Delibera sul Gestore sanitario tipico esempio di pletora dei ruoli amministrativi, oggi incongrui e superflui sostituibili da sistemi algoritmici e dalla IA, argomenti su cui si sta lavorando. Quindi molti fondi destinati alle tecniche diagnostiche e alle cure sono scivolati nel calderone dei contributi a pioggia su Enti privati, con una distrazione di fondi mai vista.

 

[1] Lo attesta la Corte dei Conti (13.02.24, Inaugurazione dell’anno giudiziario) che stigmatizza “l’avvenuta “svalutazione” del diritto alla tutela della salute, sancito dalla Costituzione. Ciò perché “assicurato” da sistemi sanitari diversamente (in)capaci di renderlo esigibile universalmente, molti dei quali avvezzi a favorire, tra l’altro, una crescita abnorme – ben oltre le regole e la ragionevolezza – della erogazione affidata a privati. Il tutto, a discapito di quella pubblica che riesce appena a difendersi attraverso l’esigibilità dei LEP garantita dai propri IRCCS (21), atteso che quelli privati (30) rappresentano l’offerta assistenziale maggiormente attrattiva della domanda disperatamente migrante”. (Ettore Iorio, ilSole24h, La Corte dei Conti stigmatizza la “svalutazione” del diritto alla tutela della salute,14.02.24).
[2] “la grave crisi di sostenibilità del sistema sanitario nazionale non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie, con intuibili conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata; la tendenza, ormai già da diversi anni, 8 appare lenta ma costante: da un Servizio Sanitario Nazionale incentrato sulla tutela del diritto costituzionalmente garantito, a tanti diversi sistemi sanitari regionali, sempre più basati sulle regole del libero mercato”. (V.P.G. Chiara Vetro. La responsabilità medica nel giudizio innanzi alla Corte dei Conti. 13.02.24

[3] Correlazione della VPG Chiara Vetro alla Relazione di Inaugurazione dell0’Anno giudiziario della Corte dei Conti, 13.02.24.
[4] LE MISURE DI CONTRASTO AI DISAVANZI SANITARI. Per le regioni con elevati disavanzi sanitari, la legge 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), come previsto dal 90 Patto per la salute 2010-2012, ha stabilito nuove regole con i Piani di rientro e il commissariamento delle regioni. Oltre a ridurre al 5% il livello di squilibrio economico (in precedenza fissato al 7%), per la presentazione del Piano di rientro regionale, viene modificata la procedura per la predisposizione e l’approvazione del Piano, nonché il procedimento di diffida della regione e della nomina di commissari ad acta. Accertato il deficit, la regione presenta, entro il 30 giugno, il Piano di durata non superiore al triennio, elaborato con Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA e Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, AGENAS.

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