Governo
Salvini tra Lakoff, Pavlov e Freud
Premessa. Questo articolo ha un taglio tecnico, di comunicazione e di psicologia politica. Prende spunto dalla vicenda Sea Watch e poi allarga il quadro, ma non entra nel campo delle valutazioni politiche o morali. Insomma non è pro o contro Salvini (o le sue scelte politiche), è piuttosto un tentativo di spiegare perché funziona (e funzionano) in termini di costruzione del consenso.
Come ogni vicenda di interesse per l’opinione pubblica, anche il travagliatissimo sbarco della Sea Watch ha finito per essere immediatamente brutalizzato e ipersemplificato in un derby tra due icone personali: Capitano vs. Capitana.
In quel tipo di scontro, Salvini è un maestro, non c’è che dire. Infatti, mentre nel giorno-chiave dello sbarco Carola Rakete scriveva “so a cosa vado incontro, ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo”, il Ministro dell’interno rispondeva a modo suo, con l’immancabile video, in cui dichiarava: “questa sbruffoncella della comandante fa politica sulla pelle degli immigrati” per poi aggiungere un sempre utile (perché pop, liberatorio, volontaristico e politicamente scorretto) “mi sono rotto le palle”.
In sintesi, da una parte la capitana decideva (e annunciava pubblicamente) di infrangere la legge assumendosene la responsabilità e le conseguenze; dall’altra, il capitano personalizzava immediatamente la vicenda ed etichettava il nuovo nemico del popolo (”sbruffoncella”), ponendo la questione della legalità e dell’arresto e “dimenticandosi” di tutte le volte in cui egli stesso ha invitato a infrangere la legge: (almeno) su IMU, unioni civili, normativa europea. I suoi “me ne frego” hanno fatto scuola ormai. Allo stesso modo, come è noto, egli può attaccare in serenità i “magistrati che vogliono fare politica”, senza porsi il problema contrario: quante volte ha provato a sostituirsi ai magistrati, il ministro? O ancora, può a baciare il rosario e appellarsi al “buon cuore immacolato di Maria” e festeggiare lo sciopero della fame in un centro di permanenza per risparmiare… Eppure, giocando efficacemente sulla memoria brevissima e sul cherry picking del pubblico, Salvini sa che chi sta con lui sceglie accuratamente quali comportamenti contra legem e quali contraddizioni abbiano un peso e quali no.
Nel caso Sea Watch, i suoi due potenti attivatori cognitivi ed emotivi – sintetizzabili in “sbruffoncella” e “arrestatela” – hanno ben presto scatenato le truppe e incendiato il confronto pieno di pathos a cui ogni giorno non vediamo l’ora di partecipare, per una ragione o per un’altra. È una di quelle cose che ci fa sentire vivi, “importanti” e a costo zero (comodamente sul nostro divano o palmo di mano e senza sanzioni reali): riceviamo gratificazioni immediate dalla nostra tribù a colpi di “like” e simultaneamente ci sfoghiamo con qualche intruso da ostracizzare con l’aiuto dei commilitoni tribali in massa, per rinfocolare le nostre credenze. La versione digitale dei “due minuti d’odio” di orwelliana memoria.
Salvini dimostra, ogni giorno che passa, di essere simultaneamente il sogno di Lakoff e una specie di reincarnazione di Pavlov.
Ha la issue ownership dei temi caldi per l’emozione pubblica (immigrazione e sicurezza in primis), cioè tutti noi ci scaldiamo essenzialmente per i temi a lui più cari e funzionali. Perché in realtà lui si è posizionato abilmente sui nostri; il suo programma sono le nostre paure, ingigantite quando non del tutto create dai media. A dirla tutta, egli ormai è l’agenda. Ecco perché è il sogno di Lakoff: Salvini è l’elefante.
Inoltre, possiede più di ogni altro leader politico le chiavi dei nostri stimoli condizionati. Le armi vincenti in questo caso sono lo stile “popolare” (il politicamente scorretto che sovente si trasforma in qualcosa di peggio), la centralità delle immagini e la personalizzazione del nemico del popolo di turno (tutto è sempre basato su foto e video simbolici e personalizzanti, sia dal lato dell’ “amico” che dal lato del “nemico”).
Infine, la sua narrazione ha l’abilità di nutrirsi anche delle apparenti sconfitte. Se Carola è scarcerata è solo per via di magistrati politicizzati. Se l’Europa non fa nulla per aiutarci è perché a Bruxelles sono egoisti e cinici, non perché non proviamo neanche a negoziare. Se Francia e Germania ottengono i nuovi vertici dell’UE, idem. Se l’unica carica italiana in Europa è David Sassoli è sempre perché quelli “brutti e cattivi” cospirano contro l’Italia. Una costante applicazione, molto ben riuscita, del principio della trasposizione di Goebbels: trasformare difetti e sconfitte in vittorie. Il Capitano può benissimo perdere in termini “reali”, ma vincere in termini “simbolici”, ossia psicologici. Quelli che muovono il consenso.
Insomma, il capo della Lega suona la campanella (cioè trasmette i suoi stimoli), e mezza Italia sbava, per richiamare (neanche tanto metaforicamente) il cane di Pavlov. Mentre il film dello sbarco va in onda, il pubblico sospende l’incredulità e si fa trascinare da chi riesce a emozionarlo meglio di altri, in sintonia con le proprie credenze. Al segnale di Salvini, si scatena l’inferno. Perché è un segnale tecnicamente perfetto (sfrutta al meglio euristiche e bias dei cittadini) e si autoalimenta nell’effetto polarizzante e radicalizzante dei social network, nei quali ognuno si riscopre tuttologo e depositario della “verità”, scegliendo con cura tutte le conferme della sua tesi ed evitando – con altrettanta cura – tutto ciò che la smentisce, favorito da “bolle” e “camere dell’eco” che fungono da rinforzi positivi del nostro fisiologico bias di conferma. Sono cose note e hanno a che fare con la natura umana. Esaltate dalla società di massa e dai mass media contemporanei. Tutto sta a saper sfruttare queste dinamiche. E nessuno lo fa bene come il nostro.
Certo, occorrerebbe anche porsi qualche domanda sul punto di caduta di quello sfruttamento. E su questo mi pare che ogni leadership/followship contemporanea sia latitante: se l’obiettivo è sintonizzarsi sull’opinione pubblica istante per istante e cavalcare istinto per istinto, il medio periodo non rientra più nei piani. Ma prima o poi arriva e non sappiamo in quali condizioni ci troverà in questo piano inclinato divisivo e febbrile, in cui l’odio online va a sovrapporsi alla (giusta) opposizione al politicamente corretto come “ideologia”, ma che ormai sembra aver aperto le porte a una diffusa quanto preoccupante inciviltà di massa, orgogliosamente resa pubblica. In termini freudiani, è come se il super-io fosse sempre più rimosso in favore del riemergere dell’Es, come aveva anticipato Lasch 40 anni fa parlando del narcisismo. E l’Io che ne deriva risulta clamorosamente sbilanciato sul lato dell’inconscio, a discapito della coscienza morale. Se quello diventa il modello vincente, i futuri pseudo-leader continueranno a inclinare il piano, to be popular. Non oso immaginare fino a che punto e con quali ripercussioni sulle comunità politiche.
Ovviamente esiste anche l’altra tribù, quella della capitana, il PD e dintorni. In quel “fan club” si stanno commettendo errori che proprio Lakoff sottolineerebbe con la matita blu. Il fatto che diversi esponenti del partito scelgano di andare a Lampedusa e di dormire sulla Sea Watch in segno di solidarietà con i migranti e con Carola Rakete può certo dare un segnale forte alla propria tribù, ma lo fa su un terreno in cui essi sono perdenti. È esattamente l’elefante di Lakoff: reagire in maniera ipervisibile all’altrui narrazione in onda 24 ore su 24 ha un senso, perché dà un segnale di vita, ma implica una vocazione minoritaria se lo si fa su un argomento non dominato.
Allo stesso modo, è insensato quanto inutile trasformare in icone vincenti queste meteore (che si chiamino Greta o Carola) peraltro sistematicamente straniere e dunque fuori dal circuito politico italiano, quando hai in casa un leader politico vincente da contrastare. Esse durano il tempo del ciclo di vita di una notizia e danno l’impressione (peraltro fondata) che la sinistra sia sistematicamente a corto di leader.
La vera sfida, per la sinistra come per la destra non salviniana, è trovare altre tematiche di cui impossessarsi e renderle “stimolanti” per media e opinione pubblica tanto quanto l’immigrazione (e i suoi derivati securitari). Non pensare all’elefante (migrante), in sintesi.
Insomma, il “dì qualcosa di sinistra” di morettiana memoria non funziona per recuperare terreno, se il campo di gioco è quello dell’avversario. Tanto meno in questo momento storico iperdivisivo in cui prevalgono sentimenti e atteggiamenti difensivi e livorosi verso l’altro (che sia straniero o semplicemente facente parte di una comunità percepita come diversa) e in cui è diffusa la percezione di una sinistra ormai lontana dagli ultimi e pronta ad attivarsi solo per gli stranieri (magari per sfruttarli). Al contrario, ogni reazione su quel terreno continua a mantenere in agenda vicende e tematiche che portano tanta acqua al mulino di Salvini.
Tornando a Nanni Moretti: “mi si nota di più se vado o se non vado a Lampedusa, cioè alla festa di Salvini?” Sicuramente se vai… ma proprio per questo, se non vai è meglio. A quel punto, meglio aspettare che la festa finisca e che gli invitati si stufino del padrone di casa.
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