Governo
Salvini e Di Maio come Renzi ma meglio
Prima di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, portabandiera della rottamazione del sistema liberale, venne l’altro Matteo: Renzi. L’Europa, le mance elettorali, la bocciatura del Nadef, la comunicazione istituzionale, il rapporto con i media: Salvini e Di Maio ripercorrono un sentiero simbolico e fattuale già tracciato dal fu-leader del Pd, cui va quindi riconosciuta la primogenitura. C’è però una differenza – sostanziale – tra il rottamatore democratico e gli sfanculatori autoritari: il leader del MoVimento privato 5 Stelle, e il leader della Lega russo-sovranista fanno il loro mestiere con convinzione, fingono benissimo di crederci e applicano un metodo conseguente. Renzi no, agisce in maniera contraddittoria. La mimica facciale parla per lui. Parla democratico, pensa e agisce plebiscitario.
Matteo Renzi deve avere un nemico. Nutre la leadership di un pensierino unico e minimo dettato la mattina ai suoi, e da questi ripetuto ripetuto ripetuto addirittura con lo stesso wording. Dal 4 dicembre 2016 Renzi e i suoi stanno ancora a dire che è stato un problema di comunicazione, che se insomma anche Renzi avesse avuto la Bestia che ha Salvini, avrebbe stravinto lui. Fanno quasi tenerezza i renziani, oggi. Non hanno ancora capito – a cominciare da Renzi – che il metodo è il messaggio, e il suo metodo è dividere il mondo tra chi è con lui e chi contro di lui, come Salvini, come Di Maio. Oppure i renziani l’hanno capito, che è proprio quel metodo – il metodo populista – il messaggio vincente, e quello che rode oggi è che Salvini e Di Maio l’hanno praticato meglio.
Una piccola rassegna di fatti realmente accaduti per aiutare i democratici a riflettere sul metodo, prima ancora che sulle ricette e i leader.
Europa chi? Matteo Renzi ci ha deliziato con una diretta Facebook sovranista dalla scrivania di Palazzo Chigi. Sfancula le istituzione Ue, ree di voler capire cosa di produttivo per il paese intendesse fare l’allora Presidente del Consiglio italiano con la “flessibilità”. Renzi pretendeva di avere diritto al suo personale obolo al debito pubblico, quello maturato dai “dinosauri” di prima. Lo pretendono oggi anche Salvini e Di Maio.
I conti non tornano. Il Nadef del Governo del Cambiamento è stato bocciato da Bankitalia, Corte dei Conti, Fmi, Ue e dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, “un organismo indipendente che ha il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del Governo e di valutare il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee”. Una figuraccia per il Ministro Tria (secondo qualcuno, una specie di stagista al servizio del vero Ministro dell’economia, il prof Savona) che tuttavia non è il primo economista di alto rango e professore che, chiamato al Governo, subisce l’onta della bocciatura da parte dei “burocrati” delle istitizoni pubbliche.
Era già successo nel 2016 al predecessore del Ministro del Popolo, il prof dell’Ocse Piercarlo Padoan, all’epoca in cui era Ministro di Matteo Renzi, quanto basta per venire confermato anche da Gentiloni.
Mancia elettorale. La #ManovraDelPopolo è una mancia elettorale moltiplicata per due, tre, cento chissà: dipende da quale voragine apriranno Reddito di Cittadinanza, Flat Tax, eccezione alla legge Fornero. Dal punto di vista economico non si regge in piedi, ma dal punto di vista elettorale sta su come un arnese dopo il Viagra. Il prossimo maggio ci sono le elezioni europee, il primo test nazionale per il Governo del Cambiamento. L’obiettivo è dare le brioches promesse alle elezioni, non solo il pane che si fa col grano che c’è.
Esattamente cinque anni prima, si pone a Matteo Renzi lo stesso problema. Il Matteo democratico, che non arriva a Palazzo Chigi per via elettorale, si inventa gli 80 Euro alla vigilia delle elezione europee. Una misura economicamente improduttiva ma elettoralmente fantastica. Padoan firma. Risultato: gli 80 Euro in busta paga alla classe lavoratrice subordinata non determinano gli scossoni annunciati. Nessuno va a mangiarsi una pizza in più – come Renzi sicuro profetizzava. Alle elezioni europee però è il 40%.
Prima di Casalino. Prima di Casalino c’era Nomfup, il poliedrico Filippo Sensi. Immenso e umile, di quell’umiltà che a volte puoi scambiare per il suo opposto. Il “fonti parlamentari” di Casalino is the new “Renzi ai suoi” di Sensi. La linea ai giornali dettata su whatsapp ed esaudita l’indomani sui giornali, anche quella è una trovata sua.
Sensi è dolce, coccola e comanda. Casalino è un cafone, bulleggia e ordina. Dall’altra parte gli stessi giornali, gli stessi giornalisti che non avvertono mai il bisogno di fare domande. Ci sono poi le slide, gli hashtag, le cartoline, l’Instagram obamiano: l’attualizzazione più visibile del metodo. Lo stesso metodo di Casalino. Si chiama propaganda.
Varie ed eventuali. Il reato di omicidio stradale, la rottamazione delle cartelle esattoriali, la rottamazione costituzionale del sistema parlamentare, quest’ultima fallita.
Tutto sommato quindi Matteo Renzi ci aveva visto giusto. Ha sbagliato solo una cosa: il Partito.
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