Governo
Salvate la Meloni dai suoi (nuovi?) amici
Roma è una città assai bella e complicata, con un rapporto bimillenario con il Potere e dunque abituata alla sua peristalsi. Dagli imperatori romani a Matteo Renzi, passando per barbari e papi, il Potere è arrivato, si è insediato, ha lavorato sub specie aeternitatis, per durare, ed è stato in qualche modo sottoposto alla cura Flaiano, passando rapidamente da giovane promessa a solito stronzo.
A masticare e digerire i vecchi, e incensare e illudere i nuovi, un reticolo di chierici, scribi, pratici, talvolta semplicemente leccaculo, posizionati strategicamente fra quello che resta, il tufo dei palazzi, le burocrazie, e quello che cambia, il Potere visibile, incarnato e non silente. Pesci pilota che fluidificano i processi in cui si riassume il Potere, con la competenza distintiva, vitale, di stare sempre un passo avanti rispetto alle vicende del Potere, di misurare con il goniometro mentale quanto il potente che c’è pende, capire quando cadrà e salire sul nuovo cavallo giusto.
Finché il Potere è saldo, e ancor più se si è insediato da poco o addirittura se è appena stato assunto in cielo da una lunga posizione di minoranza promettendo sfracelli, bisogna esagerare: più berlusconiani di Berlusconi, più renziani di Renzi, più nostalgici di Giorgia Meloni. Il neo-potente ha bisogno di questi nuovi ultras, che gestiscono le province del Potere per suo nome e conto, anche se sa che non sono disinteressati, né fedeli. Servono, come quelli che preparano le coreografie e i cori allo stadio e non guardano nemmeno la partita ma, come a questi ultimi, a questi nuovi amici ogni tanto scappa la frizione.
È successo, anzi sta succedendo con frequenza francamente eccessiva anche per chi un po’ ne ha viste, con quel luogo simbolo dei pesci pilota del Potere che è la RAI. Ora, io praticamente non guardo la televisione, né tantomeno l’informazione della RAI e fatico a comprenderne il motivo, ma la televisione pubblica è, anche nel 2024, il primo e principale feticcio di chi si insedia a Palazzo. Tutti dall’opposizione invocano e promettono indipendenza, tutti dal governo tengono famiglia da piazzare e vogliono un’informazione pubblica (anche perché pagata attraverso la fiscalità generale, obbligatoria). Anche per questa ragione, chi in RAI (ma il discorso si potrebbe estendere ad altre istituzioni similmente oggetto di spoil system informale e spietato) non è già troppo evidentemente targato deve barcamenarsi, avvicinarsi e svincolarsi, dire e non dire, all’inizio meglio una parola di meno, poi se la prospettiva di permanenza del Potere è abbastanza lunga, salire comodi sul carro impavesati nelle nuove bandiere.
Così, un’azienda di informazione e intrattenimento (pagata, ripeto, con i soldi pubblici) cresciuta e strutturatasi nella Prima Repubblica, attorno ai partiti dell’Arco Costituzionale, quasi dalla sera alla mattina ha indossato l’orbace. Gli episodi sono ormai oltre i tre che fanno la prova, amplificati dalla (insopportabile) tendenza dell’opposizione, di ogni opposizione, a basare tutta la propria comunicazione sul vittimismo e la denuncia dell’assoluta, perversa cattiveria degli avversari (a volte paga ovviamente, ma è sempre pratica estremamente fastidiosa).
La Destra aveva certamente un drappello di giornalisti, registi, autori, comici, trapezisti fedeli in RAI, ansiosi di assaggiare un potere, fatto magari di cornetti offerti al bar, troppo a lungo denegato. Da drappello di valorosi, oggi sono un pattuglione, che include certamente qualcuno entrato magari in quota PSDI (per me in RAI ci sono ancora dipendenti entrati in quita PSIUP o Uomo Qualunque) che oggi rivendica la nostalgia per i treni in orario.
Quindi, per fare quelli più realisti del Re, un autore in quota MSI-DN fa dire a un conduttore di cui si ignorava tranquillamente ogni pensiero (e che ne avesse uno) che “l’oro alla Patria” era un gesto di grande patriottismo (come no, volontario soprattutto) e a una giornalista in quota ISIS che un diritto sancito da un referendum popolare, l’aborto, è un assassinio. Oppure, trasforma il monologo scritto con la mano sinistra da uno scrittore anche bravo, ma che non aveva voglia di fare più che un copia e incolla dei suoi libri e di aggiungere un’invettiva contra la Presidente del Consiglio che sarebbe stata molto meglio in un dibattito politico in un caso politico di censura fascista, e lo scrittore sfaticato in Matteotti, gabellando una censura da lingua marrone in un risparmio di ben 1800 € per un’istituzione che li spreca ogni 30 secondi.
Perché i pesci pilota che si agitano troppo e troppo devono dimostrare di non aver mai cambiato l’idea di chi comanda non sono solo poco fedeli e affidabili, sono quasi sempre anche pippe, e con il loro trambusto accelerano proprio la stagionatura e il declino di quei progettini di regime nei quali aspirano, tapini, di insediarsi. Fossi Giorgia Meloni, che fortunatamente non sono, li terrei più a bada se ci tiene a durare. Il bottone sul manico del guinzaglio serve proprio a quello.
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