Governo
Roma-Berlino: il futuro dell’Europa passa anche da qui
Negli ultimi anni ci siamo abituati a guardare alla relazione tra il nostro Paese e la Germania come ad un rapporto spesso venato di ostilità o, nella peggiore delle ipotesi, gravato dal sospetto di un latente senso di superiorità. Le più ardite tesi complottistiche si sono sommate a generici richiami alla necessità di smarcarsi da un modello, quello riassunto per semplificazione nella formula dell’austerity, che non è adatto ad altri partner europei e la cui applicazione può al massimo soffocarne le possibilità di flebile ripresa economica. Le differenze a livello di sistema Paese appaiono inoltre sempre più stridenti e ineludibili: mettendo da parte la solidità dei fondamentali economici e la proiezione all’export, colpisce il fatto che un’unica interlocutrice politica (la Cancelliera Angela Merkel) abbia visto sfilare di fronte a sé numerosi Primi Ministri italiani, da Silvio Berlusconi a Paolo Gentiloni. Cambi repentini che rischiano di tradursi in continui “stop and go”. Eppure c’è un filo di dialogo che ha resistito agli scossoni degli ultimi anni e che dovremmo riprendere in un momento cruciale come questo.
A riaprire recentemente il dibattito è stato, non a caso, il Presidente di Villa Vigoni (il centro italo-tedesco per l’eccellenza europea sul lago di Como) Michele Valensise, già ambasciatore d’Italia in Germania e Segretario generale della Farnesina. In un editoriale pubblicato su La Stampa lo scorso 31 luglio, Valensise ha richiamato l’attenzione sull’importanza, per l’Italia, di “giocare di sponda” con Berlino, in quanto “elemento essenziale della visione europea della Germania”. È proprio in questa fase, segnata dal trauma della Brexit e dall’iperattivismo della Francia di Emmanuel Macron (anche su dossier strategici per l’Italia come l’industria navale, la Libia e la gestione dei flussi migratori), che l’Italia può costituire per Berlino un partner di peso su cui fare affidamento. Senza per questo accantonare il rapporto privilegiato con Parigi, motore indispensabile del processo di integrazione europea, ma sottoponendolo piuttosto ad un utile contrappeso. Lo stretto raccordo sul piano governativo, osserva il Presidente di Villa Vigoni, non deve far passare in secondo piano altri spazi di confronto e dialogo: i partiti, i gruppi intermedi, il mondo della comunicazione tout court. Gli interlocutori italiani nel campo della politica, sono apparsi però negli ultimi anni “irreperibili, distratti o prigionieri di agende disordinate”. Un presente che si discosta molto da un passato certo dominato dallo spettro della Guerra Fredda, ma non per questo sfavorevole ad una interlocuzione senza frontiere tra i vari partiti delle famiglie politiche europee. Un esempio su tutti, ricorda Valensise, lo storico incontro tra l’allora presidente della SPD (ed ex Cancelliere) Willy Brandt e il “ministro degli Esteri ombra” del PCI italiano Giorgio Napolitano, il 9 novembre 1989 a Bonn. Una fortuita coincidenza con l’inaspettata caduta del Muro di Berlino, ma anche una dimostrazione (non casuale) di quanto fossero solidi e costanti i rapporti tra partiti politici nell’Europa di quegli anni.
Uno spunto ripreso nell’editoriale pubblicato questa mattina, sempre su La Stampa, dal Presidente del Centro Studi di Politica Internazionale Piero Fassino. L’ex sindaco di Torino, da sempre attento ai grandi dossier internazionali, evidenzia sin dalle prime righe il valore per il processo di costruzione europea dell’intesa politica tra Italia e Germania. A partire dal rapporto tra la CDU di Konrad Adenauer e la DC di Alcide De Gasperi, padri fondatori della Comunità Europea negli anni Cinquanta. Una cooperazione che si allargò negli anni Settanta anche a sinistra: tra socialisti italiani e tedeschi e tra la stessa socialdemocrazia di Brandt e il PCI di Berlinguer, senza dimenticare il dialogo tra i liberali, che in Germania hanno potuto contare su una figura carismatica come l’ex Ministro degli Esteri Genscher. Il processo di approdo alla valuta comune, continua Fassino, ha beneficiato dello spirito di collaborazione promosso da Prodi e Ciampi, per arrivare al sostegno di Berlino alla scelta di Federica Mogherini come Lady Pesc. Per gestire le ripercussioni sull’edificio comunitario dei colpi di frusta inferti da Macron ad una Francia nuovamente al centro dei giochi (in ambito geopolitico ed economico), un forte rapporto Roma-Berlino “può essere prezioso per aprire e gestire insieme a Parigi una nuova stagione a vantaggio di tutta l’Unione Europea”.
Ora che Berlino si avvia ordinatamente al ritorno alle urne per la scelta del nuovo Cancelliere (confermando Merkel per il quarto mandato o preferendole l’ex Presidente del Parlamento Europeo Schulz), l’Italia non può permettersi di cullarsi nei cliché o di lasciare che quella “nuova stagione” di cui parla Fassino veda la luce senza che Roma giochi un ruolo a tutto campo. E se la Politica tende a sembrare troppo fragile per proiettarsi con continuità all’esterno, è sul patrimonio di dialogo in altri campi (impresa, ricerca, cultura) che potremmo fare leva per dare ancora maggior forza ai rapporti italo-tedeschi.
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