Governo
Riparte l’Italia e riapre il «teatrone» della politica
Il via lo hanno dato le varie destre accavallatesi l’una attorno all’altra nelle pittoresche manifestazioni del 2 giugno, pur provando a occupare spazi politici diversi. Ma il segnale più evidente del ritorno alla normalità politica, per così dire, è arrivato il giorno successivo, quando il presidente del consiglio si è rivolto con una certa solennità agli italiani annunciando un corposo programma di riforme e parlando di un paese che deve utilizzare la crisi per avviare «un nuovo inizio». Ma la sensazione è che con quel «nuovo inizio» stesse pensando più a se stesso che all’Italia. Da qui, una certa irritazione nella sua stessa maggioranza.
Dunque, senza più confini ma con ancora la mascherina indosso, l’Italia riparte. E con l’Italia riparte anche la stagione politica. Anzi, una nuova stagione politica nella quale tutti sembrano in cerca di una collocazione diversa rispetto a dove si erano dovuti fermare con l’inizio del lockdown. Ha riaperto, insomma, il teatrone della politica, come lo definì argutamente Filippo Ceccarelli in un suo bel libro, oramai qualche anno fa.
Più o meno abolita l’emergenza sanitaria, e in attesa che la crisi economica e sociale manifesti del tutto i propri effetti, riecco infatti il grande spettacolo al quale tutti accorrono e partecipano in tv, nelle piazze, e ovunque vi sia una scena da occupare, anche per non dir nulla. Ecco di nuovo trame e balbettii impegnare le cronache, a volte con i toni della farsa granguignolesca, altre ricalcando quelli di un’epica ridicola. Ed ecco infine anche riti e cerimonie riprendersi la scena che il virus aveva loro tolto.
Cerimoniere massimo, di questi tempi, pare il presidente del consiglio, un po’ per inclinazione un po’ per necessità. È noto, infatti, che la maggior forza del suo governo sia stata in questi mesi nel non esser possibile mettere in campo alternative percorribili. Ma, appunto, adesso l’Italia riparte e non si può vivere di rendita. Ecco allora che, con la riapertura dei confini e i due anni da padrone di casa a Palazzo Chigi da celebrare, Giuseppe Conte ha abbandonato i toni dell’emergenza per scodellare in diretta tv un programma di governo a lunghissimo termine.
«Stiamo lavorando a un piano di rinascita», ha annunciato, scegliendo incautamente le parole. Quindi, ha sciorinato un programma che vale almeno 10 anni di governo. Il suo, però, è sembrato più che altro il tentativo di sedersi al centro della nuova fase e cambiare il paesaggio politico. Quanto agli annunci, è probabile che scivoleranno via come spesso accade senza lasciar traccia, se non nei rapporti sempre più tesi con i partiti che lo sostengono e che da quegli annunci, e in particollare da quello sui cosiddetti Stati genrali dell’economia, sono rimasti sorpresi. Tuttavia, tatticamente potrebbero avere comunque una certa utilità nel sottrarre, o almeno disinnescare, gli argomenti di interlocutori e avversari, intestandoseli.
Vale per le istanze degli industriali, con i quali c’è stato anche un pesante scambio di battute mezzo stampa. E vale anche per le ragioni delle opposizioni alle quali Conte, chiusa la fase emergenziale, sembra voler concedere il minimo indispensabile anche sul terreno del dialogo. E tutto sommato lo stesso vale anche a proposito del rapporto che lega Conte alla sua maggioranza. Da quelle parti, poi, le acque sono sempre decisamente agitate e, tutto sommato, i mesi di clausura sembrano non aver spostato molto.
Al di là delle novità di queste ore, in parte ciò dipende dei consueti movimenti di palazzo e della consistenza fluida – ma è un eufemismo – con le quali le leadership di Partito democratico e Movimento 5 Stelle si riaffacciano al paese dopo il lockdown. Ed è la spiccata instabilità degli equilibri nel partito di Grillo a preoccupare maggiormente. Ma l’aria frizzante che si respira, e che pare preoccupare soprattutto il Nazareno, dipende anche dalla consapevolezza che o si inizia a dare concretezza agli annunci di queste settimane o la situazione nel paese potrebbe diventare piuttosto calda ben prima dell’autunno. Insomma, non c’è più molto tempo per perdersi in nuove chiacchiere.
Altrettanto fluida, ai blocchi di partenza di questa nuova fase, è la situazione sull’altro fronte, quello presidiato da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il nodo da sciogliere è ancora quello della leadership. Matteo Salvini appare indebolito dentro e fuori il partito. A dar retta ai sondaggi la Lega avrebbe perso una quota consistente di elettorato rispetto ai massimi toccati nei mesi scorsi. Così, c’è chi guarda altrove. Ai media sembra piacere molto Luca Zaia. Molto si è scritto e detto su come il Veneto abbia gestito la crisi meglio della Lombardia.
A pesare nel gradimento di Salvini ci sono ancora gli strascichi di certi errori del recente passato – il Papeete e la campagna elettorale per l’Emilia Romagna su tutto – ma anche l’incapacità di trovare una collocazione autorevole in questa fase di emergenza. Sarà difficile dimenticare lo smarrimento e il cinismo emersi in queste settimane, trascorse nel chiedere un giorno la riapertura del paese e il giorno dopo la sua chiusura, mentre persino la macchina della propaganda, che fino a poco prima non aveva sbagliato un colpo, oramai iniziava a girare a vuoto.
E adesso a Salvini inizia seriamente a mancare anche il terreno sul quale provare a giocare la nuova partita. Considerata la situazione e il dibattito sui soldi in arrivo dall’Europa, i soliti argomenti della propaganda leghista non sembrano più una opzione capace di far crescere i consensi. E, soprattutto, lo spazio nel quale finora Salvini si è mosso a suo piacimento lo occupa sempre più saldamente Giorgia Meloni che, lentamente ma progressivamente, è stata capace di aumentare il proprio consenso nel paese, anche in virtù di una sua certa coerenza.
Il problema della leader di FdI, semmai, è che per ciò che oggi rappresenta potrebbe aver già raggiunto il suo massimo. Se tornasse ad essere la politica brillante e capace di rappresentare valori identitari senza appesantirli con gli atteggiamenti fortemente caricaturali che ha assunto negli ultimi anni, probabilmente riuscirebbe a guadagnare ulteriore consenso senza grande fatica. Ma dovrebbe porsi anche il problema di una classe dirigente che non sempre appare all’altezza e che, anzi, a volte è fonte di imbarazzo.
Infine, c’è Silvio Berlusconi. L’uomo col sole in tasca che cade ma si rialza, si ripresenta al paese aggrappandosi a un gruzzoletto di voti che, per quanto immiserito, intende far fruttare come il più scaltro dei venditori. D’altra parte, i voti si pesano e non si contano, e lui è ancora capace di far pesare quei pochi voti, magari offrendoli come segno di responsabilità istituzionale, quasi con grazia. Ed è ciò che non è stato capace di fare un Matteo Renzi sempre più prigioniero di una esaltazione solipsistica a dimostrazione che l’allievo Renzi non ha saputo superare il maestro Berlusconi.
Insomma, se alla ripartenza questo è lo stato delle cose, c’è poco da stare allegri. Nei prossimi mesi si dovranno affrontare una crisi economica e sociale conseguenza anche della pandemia, con un paese sempre meno disposto alla pazienza. Del resto, i mezzi per sostenere quella pazienza sono sempre più scarsi mentre di temi capaci di far saltare il banco ce ne sono quanti se ne vuole a breve, medio e lungo termine: dal dibattito sul Mes e sui fondi europei fino alla riforma della giustizia, con tutto ciò che sta nel mezzo. L’unico fatto certo e prevedibile continua a essere la data di inizio del semestre bianco, attesa da alcuni quasi come un’oasi nel deserto. Gli italiani hanno dato buona prova di sé durante il lockdown, adesso la palla torna decisamente alla politica. Non resta che incrociare le dita.
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