Governo

Renzi tradisce chi lavora e per vincere punta sull’Italia dei pensionati

18 Maggio 2015

Era l’occasione per dichiarare, da presidente del Consiglio, ciò che molti uomini della strada sanno perfettamente. Era il momento di ammettere che, in nome della redistribuzione, è stato dato troppo ad alcuni, per lo più over cinquantacinque, e troppo poco agli altri. Era il momento di dire che la Corte Costituzionale, vertice sommo delle incartapecorite burocrazie italiane, aveva fatto una scelta politica – politica, non giuridica – devastante per i conti pubblici e per la tenuta del già fragilissimo patto sociale che tiene insieme una nazione come a nostra. Come minimo, quindi, era l’occasione per vedere Matteo Renzi prende il toro per le corna e dire che la questione dell’equità generazionale non era ulteriormente rinviabile e che la sentenza della Corte Costituzionale, che chiedeva potenzialmente fino a 20 miliardi, forse 25, da sborsare a causa della dichiarata illegittimità del blocco dell’indicizzazione, evidenziava e perfino creava un problema politico gigantesco. Come lo è quello della disparità di trattamento tra chi ha dei cosiddetti diritti acquisiti ampiamente sovradimensionati rispetto ai doveri a suo tempo richiesti, e chi invece ha solo speranze, per quanto vaghe, che il tanto lavoro, poco tutelato e molto tassato produca un giorno, lontanissimo, qualche effetto di tranquillità economica almeno nel pieno della vecchiaia.

Ma Matteo Renzi – ormai è ufficiale – ha scelto un’altra strada, l’ha annunciata nello studio nazionalpopolare e caro a casalinghi e pensionati di Massimo Giletti, e l’ha ufficializzato a stretto giro per mezzo di un decreto, subito dopo. Le sentenze si rispettano, ha spiegato, va bene, e la “Corte Costituzionale è come il libero” (citando Franco Baresi e dimostrando una concezione assai datata del calcio, che il libero non ce l’ha più e proprio Franco Baresi ha cambiato per sempre i connotati del ruolo, ma su questo soprassediamo) che decide in ultima istanza, e quando arriva la Corte ci si adegua e non si discute, Dio ce ne scampi, e meno male che avevamo il tesoretto. Il giorno prima in tv, il giorno dopo a Palazzo Chigi, in un decreto che puzza di regalia elettorale fin da lontano, come l’odore delle scie oleose al Porto di Genova, si sente ben lontano dalle banchine. Già, perché Matteo Renzi, confermandosi animale politico spietato e sempre pronto a cogliere ogni spazio possibile di vittoria, mentre lavorava a Roma per il decreto pensava sicuramente a Genova, a Genova e alla Liguria per lui che sono il vero banco di pravo della sua tenuta politica ed elettorale, e che hanno un numero di pensionati sensibilmente più alto rispetto alla media nazionale.

Con il decreto che restituisce, a scaglioni progressivi in base al reddito e solo in parte (e ci mancherebbe altro, verrebbe da aggiungere), quanto non è stato dato in termini di adeguamenti pensionistici dal 2012 in poi, Renzi ha infatti decisamente esplicitamente scelto di cercare di convincere a votare per lui e il suo Partito quanti beneficeranno di questa restituzione. Ha puntato a massimizzare il risultato con la spesa minima, e poi si vedrà. Ha cercato – da politico abilissimo nella costruzione del consenso, quale è – di trasformare una debolezza in forza, un punto critico in leva elettorale. Ci riuscirà? Lo sapremo tra una quindicina di giorni, quando si voterà in Liguria, ma in politica l’intenzione è sufficiente per trarre conclusioni. Le conclusioni, per il politico nato sotto il segno dei nuovi italiani, non sono di quelle di cui andare fieri. Cos’avrebbe potuto fare d’altro, chiederanno i solerti finto-terzi che sono in realtà suoi volonterosi portatori d’acqua, speranzosi che con un cenno del capo il capo stesso li riconosca come zucche adatte a diventare ministri, o almeno deputati, o quantomeno viceassessori?

Avrebbe potuto mandare il messaggio politico di un rifiuto di questo diktat, avrebbe potuto dire che per il momento non se ne parlava, che con l’Inps di Tito Boeri avrebbero studiato, con calma, la situazione e i conti (di questi si para) per cercare una risposta solida e piena alle censure della Corte. Altri ricorsi sarebbero piovuti contro la legislazione, dice qualche giurista. E nessun ricorso alla coscienza di un paese che sta pretendendo più della metà di ciò che guadagnano i cittadini di domani per garantire, ben oltre le soglie di quanto versato, a chi non lavora, legittimamente, ormai da decenni? No, sul punto la coscienza della nazione langue, dorme. E il leader del partito che alla Nazione aspira come modello omnicomprensivo e pieno, affettivamente, a questi tempi si adegua. Lo abbiamo visto quando c’è stato da scegliere se salvare o sacrificare i lavortori a partita Iva, lo rivediamo oggi. Invece di perdere la Liguria in nome dell’Italia di domani punta a vincerla facendo leva su quella di ieri, e mostrandosi obbediente e remmissivo rispetto alle burocrazie di Roma.

La volta buona? Cambiare verso? No, sempre adelante ma con juicio.

 

 

 

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