Costume
Renzi, i magic concepts e il gatto di Schrodinger
C’è un articolo di ottobre 2014 uscito su una rivista internazionale che si intitola “Talking about government“.
Si tratta di un saggio molto interessante perché descrive come il mondo della policy, in senso lato, sempre più sia pervaso dal riferimento continuo a quelli che gli autori, Christopher Pollitt e Peter Hupe, chiamano magic concepts.
Cosa sono i magic concepts?
Di fatto, è l’abbandono del facile e rassicurante mondo delle dicotomie a favore di un fluido, e per certi versi indistinguibile, magma di parole che hanno una natura più fuzzy.
Guardate che qui stiamo parlando di matematica, eh.
Quando un concetto si può definire fuzzy o, in italiano, confuso?
Pensate a un cielo. L’avete visualizzato?
Ora metteteci sopra qualche nuvola.
Fatto?
Ecco, ora rispondete alla domanda: “qual è il livello di copertura delle nuvole oltrepassato il quale una giornata diventa brutta, invece che essere bella“?
La fuzzyness, applicata ai concetti politici, significa abbandonare il mondo rigido ma netto delle parole binarie (da interruttore della luce, per l’appunto, un bell’1/0 senza tema di interpretazioni) per addentrarsi in quelli che, appunto, sono i magic concepts.
Queste parole hanno alcune caratteristiche, facilmente descrivibili:
1. Broadness: vastità. Di applicazioni, di ambiti di riferimento, di possibili significati. La vastità a me richiama sempre la poetica del vago e dell’indefinito di Leopardi, non so perché
2. Normative attractiveness: i concetti magici sono attraenti perché hanno tutti una dannata connotazione positiva. Diventa difficile essere contro questi concetti, una sfida frustrante a prova di bastian contrario. È come se una Pollyanna tronfia ricordasse a tutti quante volte la parola GIOIA ricorre nella Bibbia, senza possibilità di poterle dare un sonoro ceffone alla Batman
3. Implication of consensus: questo segue a quanto sopra. Un concetto dannatamente positivo e senza troppi appigli per criticarlo diluisce il caro vecchio conflitto democratico: profitto privato vs. pubblico interesse; efficienza vs. giustizia distributiva. I magic concepts aggirano il problema perché sono delle meta-parole, vicine a tutti e, quindi, a nessuno di specifico. Ti ammaliano e, soprattutto, prendono tempo. Rimandano le soluzioni scommettendo sull’infallibilità della vaghezza. Creano un pavimento di aspettative su cui arredare un programma fatto di sogni
4. Global marketability: questa si commenta chiaramente da sola. I concetti magici sono fashionable. Sono cool. Sono come i meme del Milanese Imbruttito.
Mi sono sempre ritenuto una persona progressista e, così, prima ho ascoltato il premier dire che la piazza del Family Day va rispettata. Lo iato che mi si è aperto in cuore ha come risvegliato quel briciolo di passione civica che ancora mi rimane.
E sollevato dubbi, gli ennesimi di questo mio rapporto confuso con il governo attuale.
Mi sa che è proprio questo il malefico effetto del renzismo. Qui credo si misuri l’oltre e il di più rispetto all’Italia di Berlusconi. Un paese, quello, se vogliamo ancora binario, mentre il premier 2.0 corre appunto su una fibra ottica veloce e confusa (infatti non esiste ancora), completamente fuzzy.
Renzi è questo: c’è del buono e c’è del marcio che neanche in Danimarca. Fa, perché fa. E pure non fa con altrettanto zelo. Sostiene buone pratiche e pratica pure quelle peggiori. Agisce come un velociraptor e rallenta come un’era geologica. Chiama Boeri all’INPS e si affida a Verdini per le sorti del Senato.
Vola come un’ape e punge come una farfalla, insomma.
Con un effetto stordimento encomiabile e disastroso da pifferaio di Hamelin che ci conduce chissà dove.
Renzi è un premier quantistico. La sua forza e la sua debolezza stanno nel fascino dell’indefinibile.
Quali siano le sorti del suo governo non è cosa da chiedersi a Machiavelli ma, piuttosto, a Schrodinger:
“La funzione ψ dell’intero sistema porta ad affermare che in essa il premier vincente e il premier in disgrazia non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso”.
Come non comprendere, dunque, l’italiano ormai spaventato, quasi, dall’idea di votare? Non è più l’esercizio di un diritto, ma la soluzione di un paradosso della fisica moderna.
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