Governo
Referendum, quotidiani e qualità della classe politica
Sono rimasto colpito dalle argomentazioni con le quali i grandi quotidiani hanno deciso di sostenere le ragioni del referendum sul taglio dei parlamentari; consultazione che, diversamente da quanto accaduto con Berlusconi nel 2006 e Renzi nel 2016, sarà la prima a passare il vaglio del voto.
E, per quanto di bandiera, questo sarà un punto segnato da M5S.
Nel merito della riforma credo sia la più incompleta fra quelle di cui scrivevo: la diminuzione dei parlamentari è infatti di per se insufficiente ma è falso dire che paralizzerà il parlamento o che in assoluto non sia giusta (visto anche le proposte sostenute nei decenni passati).
Ma come anticipavo sono rimasto colpito da come la stampa mainstream si stia relazionando a questo referendum e in generale al suo ruolo nella scena politica degli ultimi anni.
Tutti i quotidiani infatti – pur nella diversità delle loro posizioni – propongono una riflessione comune: ad essere intollerabile infatti non sarebbe tanto la quantità dei parlamentari, quanto le loro capacità.
La classe politica oggi in parlamento – a detta di tutti – è la peggiore della storia repubblicana.
Negli anni sono state indicate quali cause di questo impoverimento della classe dirigente molte e valide motivazioni: l’implosione delle strutture e delle scuole di partito; il sistema elettorale che ha distorto i meccanismi selettivi; la disintermediazione o l’esasperazione leaderistica.
Tutti validissimi argomenti che meriterebbero una trattazione specifica.
Per quanto riguarda la qualità dei nostri rappresentanti direi che se l’idea fulgida di gruppi parlamentari di “competenti” sia un po’ illusoria è anche vero che qualcosa in più sarebbe lecito attendersi. Una volta le camere esprimevano una classe parlamentare migliore per almeno tre buoni motivi:
a) la politica era vista come un impegno nobilitante e non come un “ascensore sociale”;
b) la politica era organizzata da partiti che prevedevano meccanismi selettivi seri (si pensi al Pci che impediva di fare campagna elettorale personale e dove persino Berlinguer passava in sezione a prendere i nomi per le preferenze) e altri partiti che raccoglievano le preferenze e quindi mandavano in Parlamento chi raccoglieva più voti;
c) la politica era ferocemente giudicata da giornali (di establishment o di partito) che ne fustigavano gli interpreti in maniera sanguinolenta.
Su quest’ultimo punto infatti mi sembra che negli anni ci si sia concentrati molto poco e specialmente la stampa ha teso ad autoassolversi dalle sue colpe che a maggior ragione nell’era della comunicazione sono evidenti.
Se infatti a detta di tutti i quotidiani il tema centrale risulta quello della qualità della classe politica allora questo punto non attiene anche alla selezione delle voci e degli interventi che un media ospita?
Resta dunque che questa classe dirigente ma più in generale la qualità del dibattito pubblico italiano sia responsabilità dei media italiani tanto quanto della classe dirigente stessa.
I quotidiani italiani non vendono perché hanno da tempo abdicato al loro ruolo di testimonianza, controllo e verifica della autorevolezza di quello che mettono in pagina.
E per questo da testimoni dei fatti e selezionatori delle chiavi di lettura con cui leggerli si sono trasformati in semplici strumenti di amplificazione.
A volte utili ma ormai ritenuti privi di credibilità e presto definitivamente sorpassati dai social.
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