Governo

Referendum: il risparmio per effetto della riforma è davvero di 500 milioni? No

23 Novembre 2016

Il Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 propone “il superamento del bicameralismo paritario”, un nuovo Senato (ridotto e di rappresentanza delle istituzioni locali), il taglio dei senatori e relative indennità, la soppressione delle Province e la chiusura del Cnel.

Secondo i sostenitori del Sì con la riforma Renzi-Boschi si risparmieranno 490 milioni di euro all’anno, cifra dichiarata da Maria Elena Boschi. Lo stesso Matteo Renzi, l’8 giugno scorso ha affermato che il risparmio ammonterà a 500 milioni di euro.

MA È DAVVERO COSì? NO, E VEDIAMO PERCHÉ

La cifra dichiarata dal ministro Boschi è arrivata in risposta ad un’interrogazione parlamentare. I 490 milioni di risparmio, secondo il ministro, sarebbero così suddivisi: 80 milioni all’anno dalle indennità e dai rimborsi dei senatori, 70 milioni dal funzionamento delle commissioni e rimborsi ai gruppi del Senato, 320 milioni dal superamento delle province e 20 milioni alla soppressione del Cnel.

Rispondendo al ministro Boschi, il questore di Palazzo Madama e senatore di Forza Italia Lucio Malan, il 27 giugno ha presentato un documento  nel quale si afferma che i risparmi ammonterebbero solo a 50 milioni di euro (il 10% da quanto dichiarato dal ministro). I 320 milioni che, secondo il ministro si risparmierebbero grazie al superamento delle province, per Malan non esistono perchè sono già state abolite dalla legge Delrio.

Le cifre fornite dalla Boschi e da Malan non corrispondono però con quelle stimate dalla Ragioneria dello Stato e consultabili in un documento pubblicato il 28 ottobre 2014. Il risparmio per la Ragioneria sarebbe di 57,7 milioni di euro. Per effetto della riduzione del numero dei senatori (95, esclusi quelli nominati dal Presidente della Repubblica), insieme alla limitazione dell’indennità parlamentare (10.385 euro mensili pro capite) ai soli componenti della Camera dei deputati, “la minore spesa conseguente a dette disposizioni è stimabile in circa 49 milioni di euro”. Il resto non è assolutamente quantificabile.

L’ex commissario per la spending review Roberto Perotti però, in un articolo pubblicato su lavoce.info, stima un risparmio massimo per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma e di 160 milioni a regime. Una stima, ovviamente, con margini di incertezza.

La Tabella 1 sintetizza le fonti di questi risparmi. Come sempre, queste stime sono soggette ad un ampio margine di incertezza. In particolare, la stima di alcuni di questi risparmi si basa su una interpretazione favorevole di alcuni passaggi ambigui nel testo della riforma. Sotto una interpretazione più restrittiva, i risparmi si ridurrebbero a circa 110 milioni dopo due anni e 130 milioni a regime.

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La versione più lunga di questo articolo (scaricabile qui) mostra i dettagli metodologici.

Varie voci di risparmio della riforma.

  • Il Senato

La Tabella 2 mostra il costo attuale per il contribuente  e i  risparmi stimabili. La riforma prevede che i membri del Senato scendano (inclusi i senatori a vita) da 320 a 100, una riduzione del 69 percento. Secondo il nuovo articolo 69  inoltre “I membri della Camera dei deputati ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Dunque l’articolo abolisce certamente le indennità (prime due righe della Tabella 2).

Non è chiaro se il nuovo articolo 69 abolisca anche i rimborsi spese. Per sicurezza, Perotti ha ipotizzato che anche tutti i rimborsi spese attuali vengano aboliti (righe dalla 3 alla 7).

Nel lungo periodo, il personale del Senato diminuirà, non però in proporzione alla riduzione dei senatori del 69 percento. Per far funzionare una istituzione come il Senato vi sono molti costi fissi: per esempio, il numero degli usceri o degli elettricisti  è quasi indipendente dal numero dei senatori. A regime è quindi ragionevole ipotizzare che il personale si riduca del 30 percento. Il risparmio per il contribuente sul monte salari sarà di 33 milioni (righe 8, 9 e 10). Ovviamente non tutta la riduzione del personale avverrà immediatamente: poiché non sono previsti licenziamenti,  il personale si ridurrà solo per attrito. Ipotizzando che in media ogni anno vada in pensione il 3 percento del personale, due anni dopo l’entrata in vigore della riforma il personale si sarà ridotto del 6 percento, per un risparmio di 7 milioni.

Anche nelle altre spese di funzionamento del Senato vi sono numerosi costi fissi. A seconda della voce, si ipotizza quindi una riduzione dal 50 allo 0 percento.

Ci sono poi alcune spese che aumenteranno. La riforma, inspiegabilmente, ha attribuito  al Senato il nuovo compito di valutare le politiche economiche e territoriali del governo. In altre parole, il Senato si dovrà trasformare in un centro studi, tipo SVIMEZ. Inoltre, come è stato giustamente affermato, i senatori potranno lavorare solo alcuni giorni al mese; gli altri giorni, il lavoro di supporto dovrà essere assegnato alla loro segreteria, i cui ranghi dovranno venire corrispondentemente rimpolpati. Infine, i senatori che giungono da tutta Italia avranno sicuramente diritto almeno a un rimborso spese.

Sommando tutti questi risparmi e aumenti di spesa, Perotti stima un risparmio per il contribuente di 107 milioni nel 2020 (due anni dopo l’inaugurazione del  primo Senato con le nuove regole) e di  131 milioni  a regime, diciamo nel 2030.

  • Il CNEL

Il nuovo articolo 99 della Costituzione elimina il CNEL. Per calcolare i risparmi da questo articolo, bisogna tenere presente che il CNEL è di fatto già stato chiuso con legge ordinaria. Per esempio, nel bilancio di previsione per il 2016 il compenso per gli organi istituzionali era già uguale a 0. Nella sua nota dell’ottobre 2014, la Ragioneria stimava un risparmio dalla riforma costituzionale di 8,7 milioni (essenzialmente, il totale delle spese rimanenti del CNEL dopo la sua chiusura “di fatto”, al netto degli accantonamenti, che sono spese una tantum).

Il risparmio effettivo sarà però solo di 3 milioni (vd. Tabella 3). Il motivo principale è che la riforma ha disposto che tutto il personale del CNEL venga assunto dalla Corte dei Conti, quindi non vi sarà alcun risparmio su quel fronte.

  • La riduzione dei compensi dei consiglieri regionali

Secondo il nuovo articolo 122 una legge della Repubblica stabilirà gli emolumenti dei consiglieri regionali, “nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.”

La Tabella 4 mostra i compensi attuali dei sindaci dei capoluogo regionali, e dei consiglieri regionali. Come spesso accade,  c’è un elemento di ambiguità: non è chiaro se il termine “emolumento” dei consiglieri regionali si intende solo l’indennità di carica o anche  il rimborso spese per l’esercizio del mandato. Anche in questo caso, per sicurezza si assume l’ipotesi più favorevole alla riforma, la seconda, che comporta un risparmio di spesa per il contribuente di 17 milioni (la prima comporterebbe un  aggravio di spesa di  7 milioni).

  • L’abolizione dei contributi ai gruppi consiliari regionali

La riforma (Disposizioni finali, comma 2) abolisce i contributi  ai gruppi consiliari regionali, che in questo momento valgono circa 15 milioni. È difficile pensare che essi non vengano sostituiti in parte da qualche voce alternativa, che consenta ai gruppi politici di funzionare. Un risparmio di 10 milioni appare realistico.

  • La “decostituzionalizzazione” delle province

Come è noto, la riforma costituzionale rimuove le province dalla lista di enti costituzionali. In molti includono i risparmi dall’abolizione delle province nel calcolo dei risparmi dalla riforma costituzionale. Questo approccio non è corretto. Il motivo è semplice: gran parte delle funzioni delle province sono già state riallocate a comuni, città metropolitane, e regioni con una legge ordinaria del 2014 (la legge “Delrio”); i dipendenti pubblici non più necessari verranno gradualmente riassorbiti da altri enti pubblici; la stessa legge ha  eliminato gli emolumenti ai consiglieri provinciali. Dunque i risparmi della riforma delle province si sono già manifestati, e rimarrebbero anche se passasse il no al referendum: sono indipendenti dalla riforma costituzionale.

Tabella 2: Risparmi dalla riduzione del numero dei senatori e abolizione dell’indennità

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Tabella 3: Risparmi dall’abolizione definitiva del CNEL

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Tabella 4: Risparmi dalla riduzione dei compensi dei consiglieri regionali

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