Governo
Requiem per una Radio. Anche no
In vita mia non ho avuto molte auto. Un po’ per disponibilità finanziaria, un po’ per interesse assai limitato, ho sempre sfruttato le macchine che avevo fino alla fine della loro vita. Non sono stato nemmeno fedele ad un particolare modello. Ma tutte le auto che ho posseduto, e quella che possiedo oggi, hanno condiviso almeno una cosa: una radio ben funzionante e Radio Radicale registrata sul canale 6.
Sinceramente, ricordo pochi viaggi in cui –almeno brevemente- non mi sia sintonizzato su Radio Radicale. C’è stato un momento che addirittura quasi conoscevo il palinsesto con una certa sicurezza. Mi viene in mente quando iniziai a collaborare con l’Università di Parma, ed almeno un paio di volte al mese andavo al campus emiliano. Partivo da Pisa ad un’ora tale da poter sentire la rassegna stampa (Stampa e Regime) di Massimo Bordin lungo l’autostrada sino a La Spezia; rallentavo, pure. Sapevo infatti che lungo la Cisa, strada meravigliosa che si inerpica sull’Appennino, il segnale di Radio Radicale sarebbe stato debole e disturbato. Bordin, con la sua sapienza arguta, distillava le principali notizie; le assemblava in maniera personale ma restituendo un quadro coerente, chiaro. Quando Bordin è morto, ho letto un articolo di qualcuno (mi scuso se non lo ricordo) che ha detto: “lentamente, Bordin mi ha convinto delle sue idee”. Condivido totalmente. Bordin, e Radio Radicale mi hanno aiutato a sviluppare l’embrione di idee garantiste che avevo ricevuto per via familiare; e anche l’importanza dei diritti civili, che in una famiglia della sinistra tradizionale erano un po’ negletti.
Ma non c’era solo la rassegna. Prima della rassegna, ad esempio, c’erano anni fa due appuntamenti che per me erano imperdibili: Lessico dell’Economia della Professoressa Fiorella Kostoris Padoa Schioppa (all’epoca evidentemente coniugata al futuro Ministro del Tesoro) e la rubrica del Prof. Luigi De Marchi. Il Prof. De Marchi, sociologo, esperto di sessualità e politica, era straordinario e divertente. Liberista e liberale convinto, aveva dei demoni contro cui non mancava mai di scagliarsi pacatamente utilizzando una specie di sillogismi tra loro concatenati, un ragionamento “razionale”: la sovrappopolazione mondiale dovuta alla mancanza di controllo delle nascite; le tasse –sempre troppo alte, troppo inutili, troppo offensive-; e l’Università “dei Professori”, non luogo dove “gli studenti bivaccano, l’anno lavorativo dei docenti dura 200 giorni, il giorno 4 ore, l’ora 45 minuti”. La conseguenza del non-luogo universitario era ovvia: “l’Università italiana fa schifo!”. Caspita! Per me giovane precario all’epoca, arrabbiato ma però non assimilabile alle solite rivendicazioni “più soldi meno numero chiuso e più posti”, quello del Prof. De Marchi era un grido di liberazione. Non sono credente, ma spero che il Prof De Marchi sia adesso nel paradiso dei liberi cui ha dedicato tutto il lavoro ed il pensiero utopico della sua vita.
E poi altri appuntamenti: radio carcere, spaccato delle nostre prigioni; i grandi processi di mafia; una marea di conferenze, dibattiti, tutti registrati, tutti adesso disponibili sul sito. Ricordo di aver talvolta sentito anche la conversazione settimanale di Pannella con Bordin: un delirio interminabile del vecchio guru radicale, dove si mescolavano attualità e storia, battaglie vinte, perse, e lotte future. Negli anni novanta, per noi giovani parzialmente conformisti di sinistra, Pannella era un po’ un audace opportunista. Il nostro pregiudizio era rafforzato dal flirt con Berlusconi, dalla presenza di gente insopportabile (per noi) come Capezzone. Ma la radio faceva premio su tutto, e poco alla volta ho capito anche le giravolte pannelliane. Non posso dire di condividerle tutte, adesso; ma le ho capite.
Sarebbe inutile continuare l’elenco. Radio radicale è la storia d’Italia dal 1975 filtrata dall’intelligenza di un mezzo –la Radio- che non morirà mai, perché ha la forza del linguaggio umano e la potenza di una tecnologia semplice che raggiunge ogni luogo: i ragazzi italiani di oggi che sentono il rap come i loro coetanei che ascoltavano la musica occidentale a Berlino Est negli anni 70; oppure la BBC che dà conto dei lontani colpi di stato in un’Africa quasi sconosciuta per tutti noi occidentali.
Già, l’Africa. Negli anni 80, nel pieno della sua battaglia contro la fame nel mondo, Radio Radicale trasformò delle musiche meravigliose –il Requiem di Mozart in primis- negli intervalli tra le trasmissioni. E il Dies Irae diventò la cifra della radio, così come “parla Londra” lo era stata per la BBC durante la guerra. Mozart trasformato in un simbolo meraviglioso di umanità che cerca di affrancarsi dal pregiudizio e dall’oscurità attraverso una lotta di liberazione.
Radio Radicale ha trasmesso per decenni le cronache del Parlamento italiano. Ha fatto sentire cose molto belle e toccanti, perché non è vero l’adagio qualunquista che il nostro Parlamento sia sempre stato un covo di truffatori. Ed ha fatto cronaca del sottobosco indecente che molto spesso si è preso la scena; l’ha fatto senza filtri, con soltanto una voce da una galassia lontana che attribuiva il partito all’oratore del momento. La quintessenza del Servizio Pubblico. Ha registrato momenti alti e ridicole baruffe nel suo immenso archivio digitale. Ha reso il servizio più grande alla Repubblica: la memoria di se stessa.
Ora, Radio Radicale potrebbe chiudere. Con un atteggiamento pilatesco, ma lucidissimo, il governo attuale non vuole rinnovare la convenzione per le trasmissioni parlamentari. Radio radicale non ha pubblicità, e vive dei soldi della convenzione. Quando sento le frasi incongruenti di alcuni politici su Radio Radicale (“io non mi occupo di questo”) mi viene in mente la solitudine di Giovanni Falcone, uno degli eroi italiani la cui capacità e senso dello Stato è scritta per sempre –oltre che nell’immaginario collettivo- nelle ore e ore di registrazioni di Radio Radicale. Ci sono stati altri momenti di crisi nel rapporto tra Radio Radicale e politica; in uno di questi emerse uno spaccato reale dell’Italia, al di là di ogni studio sociologico: trasmissioni interrotte, voce libera agli ascoltatori, ore ed ore di insulti razzisti, fascistoidi, violenti. Erano i primi anni 90, un memorabile memento per gli anni a venire.
Per tutto questo, oggi aderisco alla staffetta di sciopero della fame a sostegno di Roberto Giachetti, parlamentare PD ed ex-radicale che da sempre difende la voce libera della Radio. Un piccolo gesto cui tutti possono aderire. Uccidere Radio Radicale è uccidere un poco la nostra libertà.
La sera delle elezioni 1994 rientravo a casa e su Radio Radicale il notiziario era freddamente informativo. Ero infastidito e ho sbagliato. I fatti sono argomenti testardi, dovevo capirlo anche allora. Ho messo un’altra radio, dove trasmettevano “Stupendo” di Vasco Rossi. “Si…stupendo…mi viene il vomito, è più forte di me…”.
Se Radio Radicale sparirà rimarrà un etere meno libero, dove un giorno forse nemmeno Vasco e questa bella canzone avranno cittadinanza.
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