Governo
Quale partito del nord?
L’ex ministro dell’interno appare sconfitto, dopo aver tentato di sfidare il resto del mondo finendo per compattare poteri che parevano inconciliabili. Alcuni commentatori dipingono tale battaglia come una Waterloo e si avventurano in elucubrazioni sulla creazione di una Lega che potrebbe riprendersi il marchio Nord. Cosa dobbiamo aspettarci?
Salvini ha perso una battaglia, ma non la guerra. Il suo consenso è ancora alto, tanto che resta il leader politico più amato del belpaese. La sua narrazione è ancora quella dominante, per cui una buona parte dell’elettorato è convinta che sia in atto un’invasione di migranti che minaccia l’identità italiana, orchestrata dai burocrati di Bruxelles che vogliono ridurci a giardino di caccia di altre potenze: Germania, Francia e poi Cina.
A una narrazione forte sono invece corrisposti risultati deboli. I governatori e i sindaci del nord hanno aspettato vanamente l’autonomia differenziata. Gli imprenditori settentrionali attendono una mitica riduzione delle tasse almeno dalla discesa in campo di Berlusconi. Il blocco sociale che storicamente sosteneva la Lega di bossiana memoria ha percepito come assistenzialismo per meridionali la politica economica del M5S.
La prossima battaglia di Matteo Salvini sarà quindi interna al proprio partito, sceso in contraddizione tra una base sociale settentrionale e un consenso elettorale trasversale. Coloro che cercano visibilità nazionale sceglieranno ancora il loro capitano, gli ansiosi che attendono risposte pragmatiche, opteranno per altro, con l’obiettivo di rifondare una lega a tutti gli effetti Nord.
Ma un ritorno alle origini sarebbe accompagnato da almeno un paio di problemi. Da una parte, diventerebbe impensabile ottenere la maggioranza nel paese e sarebbe necessario cercare alleati, oltre a un Berlusconi consumato dagli anni e una Meloni confinata in un partito romanocentrico. Dall’altra, nascerebbe il bisogno di una nuova narrazione altrettanto forte della precedente. Ma, un Nord completamente integrato con il sistema economico bavarese, non può sostenere uno storytelling che preveda l’allontanamento dall’Unione Europea. Di conseguenza, lo sbocco più semplice e prevedibile del cambio di narrativa potrebbe essere uno scenario degno di Vittorio Feltri, dove meridionali (leggi M5S), poteri forti (leggi PD) e Vaticano complottano insieme per vessare il nord con tasse e immigrati. Non posso che sperare di rimanere stupito grazie ad uno sbocco più inclusivo ed edificante.
Infine, tale programma avrebbe forza sopratutto se si concretizzasse l’autonomia differenziata tanto invocata da Lombardia e Veneto. La Lega Nord conserverebbe peso strategico nel Parlamento romano grazie alle compatte richieste del proprio blocco sociale e potrebbe usare alcune prerogative di tale autonomia per rafforzare la propria narrazione. Oltre alla possibilità di trattenere gran parte degli introiti fiscali, Luca Zaia ha infatti paventato la possibilità di riscrivere i testi scolastici per far studiare agli studenti veneti la storia della Serenissima. Una manovra identitaria che avvantaggia i governatori ma rischia di spaccare ancora di più un paese che necessita quanto mai di una memoria condivisa.
L’autonomia differenziata potrebbe quindi facilitare la creazione di un nuovo partito del nord, ma è allo stesso tempo portatrice di rischi tanto che il neoministro per il mezzogiorno Giuseppe Provenzano l’ha saggiamente bollata con il termine secessione dei ricchi.
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