Governo

Privatizzare “alla giapponese”. Una proposta per il governo Renzi

3 Marzo 2016

Le privatizzazioni in Italia sono state sempre una chimera da cui difficilmente si sono tratti i benefici tanto sperati e propugnati (Telecom Italia – ora Tim –  nella metà degli anni ’90 è stato il caso più discutibile e forse quello ancora più vivo nella memoria collettiva…). Realizzate, se non meglio dire costrette, all’interno di uno schema di innegabile subalternità culturale al liberismo trionfante durante i primi governi dell’Ulivo, figlie della rincorsa all’ Europa ed alla tanto agognata moneta comune, nel tempo si sono trasformate in una delle innumerevoli modalità per “fare cassa” da parte dello Stato, invece di essere uno strumento di riprogrammazione e trasformazione del tessuto industriale nazionale.

Anche sotto il governo Renzi stanno vivendo lo stesso infausto destino, misere gocce nel mare oceanico del debito pubblico italiano, del quale dovrebbero finanziare la diminuzione. Le parole del ministro del Tesoro Padoan – in una recente audizione alla Camera sulla prossima privatizzazione delle Ferrovie dello Stato – non lasciano scampo infatti: “Ottenere risorse da destinare all’abbattimento del debito […] gli introiti derivanti dalla quotazione, saranno destinati esclusivamente al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato e utilizzati per la riduzione del debito pubblico“. Per un governo che aspira a rivoluzionare il Paese con il suo riformismo, a superare vecchie ideologie ed inadeguati strumenti amministrativi, è proprio questa la strada che si deve intraprendere? Questo è il tasso di rottamazione che la cittadinanza si deve aspettare? Quei pochi miliardi (secondo il Mef nel 2014 circa 3,3 mld di Euro) che verranno da queste dismissioni e quotazioni non sarebbe più opportuno dirottarli verso canali che implementino e fortifichino la scarsa crescita che per fortuna, comunque, l’Italia ha ritrovato nel 2015 secondo le ultime statistiche Istat?

Un modello alternativo esiste tuttavia, ed è anche di recente applicazione, per di più in un Paese che non può essere additato di simpatie socialisteggianti: stiamo parlando del Giappone, con la quotazione nei mercati azionari del 40% delle Poste – JPH, Japan Post Holdings – i cui proventi da 11,5 mld di Euro serviranno a finanziare la ricostruzione delle aree sconvolte dallo Tsunami e dalla conseguente crisi nucleare di Fukushima del 2011. Tutto ciò è accaduto lo scorso Settembre 2015, mentre in Italia subito dopo si è impostata invece la quotazione delle nostre Poste con il solito obiettivo di riduzione del debito pubblico.

Mettere in campo, dunque, in vista di questa nuova fase per il governo – avendo ingaggiato infatti una vera e propria battaglia europea contro le politiche di austerity ancora propugnate dalle tecnostrutture comunitarie e da alcune Cancellerie nordiche – un tipo di scelte politico-economiche del genere potrebbe risultare esiziale. Questo nuovo approccio non sarà infatti leggibile solo da economisti o da esperti di accurate analisi macroeconomiche, ma dovrà anzi riuscire a rivolgersi a tutti i cittadini italiani, mobilitando la loro fiducia ed anche il loro interesse – economico in primis –  verso politiche che potranno così percepire utili allo loro quotidianità.

Ecco allora alcuni esempi, dirottando i proventi delle privatizzazioni negli investimenti infrastrutturali necessari al Paese:

– immissione nel mercato azionario del 40% delle Ferrovie dello Stato per finanziare i progetti dell’Alta Velocità da estendere nel Mezzogiorno e per costruire reti diffuse di trasporto pubblico su ferro negli hinterland delle più importanti aree metropolitane del Paese;
– vendita di alcune quote di Enel ed Eni (senza perdere il controllo pubblico delle società) per gli investimenti a bonifica dei siti produttivi delle stesse e per le risorse contro il dissesto idrogeologico;
– vendita di altre quote di Poste Italiane per il piano nazionale banda larga e per il riacquisto della rete infrastrutturale di comunicazione Tim-Telecom Italia;
– etc.;

Inoltre, le risorse del bilancio pubblico liberate da questo nuovo uso dei fondi ottenuti dalle privatizzazioni potrebbero essere utilizzate per allentare ancora di più i cordini della borsa dei comuni e degli enti locali dalle maglie del patto di stabilità interno, potendo avviare a migliaia nuovi piani infrastrutturali di piccole e medie dimensioni. Una scelta economica, così, in grado di mettere in campo annualmente almeno  5-6 miliardi di euro destinanti esclusivamente ad investimenti realmente cantierabili e riscontrabili dai cittadini. Un volano concreto per sostenere la crescita del Paese, unico metodo per abbattere il mostruoso debito pubblico italiano.

 

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