Governo
Presidente Draghi, welcome to the jungle
Il Presidente del Consiglio Draghi è dovuto rientrare precipitosamente da un vertice europea a Bruxelles, alla vigilia di un possibile conflitto bellico sul suolo europeo, per conferire con il Presidente della Repubblica Mattarella in merito alla più grande sconfitta parlamentare della sconfinata maggioranza che sostiene il suo Governo. Minacce di dimissioni, scioglimento delle camere, “io non ho bisogno di voi, siete voi che avete bisogno di me” e la sedizione sembra rientrata, fino al prossimo, incipiente riaffioramento.
Non era impossibile immaginare che la chiusura della partita del Quirinale, che pure ha rappresentato la più cocente sconfitta non dichiarata dell’ex governatore della BCE, aprisse una fase di profonda destabilizzazione di una maggioranza che sta insieme per convenienza, senso del dovere, mancanza di alternative, rispetto dei voleri superiori, ossia per tante ragioni tranne quella di un disegno politico, anche abborracciato, comune e condiviso.
A meno dell’impensabile, l’anno prossimo si voterà.
Tranne gli elettori di Calenda, di + Europa, e di parte del PD, per un totale che resta ben lungi dal 20% del totale, nessuno nel segreto dell’urna attribuirà il proprio voto al più bravo soldatino del governo Draghi. Ci si chiederà, come si è sempre fatto, se non con quale violenza il partito di riferimento è andato alla giugulare degli avversari, almeno che cosa chi ha chiesto il mio voto avrà fatto per me (personalmente o come categoria sociale, a seconda del proprio livello di egocentrismo). La buona educazione e la capacità di tenere la posizione, in questo caso difendendo usque ad mortem e fino all’ultimo giorno la maggioranza di Draghi e le sue scelte ostentatamente impolitiche, può fare felici gli editorialisti del sole 24 ore, molto meno gli elettori.
Questo i partiti, anche questi partiti Brancaleone, lo sanno. Per partecipare al gioco della politica hai bisogno prima di tutto di un cervello rettile, in grado di indicarti chiaramente che cosa ti farà sopravvivere e che cosa magari sembra buono e luccicante ma alla fine o non ti nutre o ti avvelena.
L’interesse nazionale, agitato freneticamente da chi continua a dipingere il sistema politico come una classe di ciucci e indisciplinati che si trovi improvvisamente a seguire una supplenza di matematica fatta dal Nobel Giorgio Parisi e ciò nonostante continua a guardare il telefonino e a tirare gli aeroplanini di carta, è una pianta con delle bacche di un rosso vivace, ma in grado di dare tremendi mal di pancia a chiunque l’assaggi al di fuori delle chiacchiere da talk show. L’interesse nazionale esiste, ma come l’orizzonte di Galeano non lo raggiungeremo mai, ne parleremo e faremo tutti più o meno finta di muoverci verso di lui, soprattutto per poter dire che i nostri avversari fanno il contrario.
Non lo raggiungeremo anche perché, è la democrazia bellezza, si muove freneticamente, si sposta, si ricompone e si scompone, promuove temi e li consuma e i suoi campioni un momento dopo fanno la fine delle giovani promesse di Ennio Flaiano.
Il Governo Draghi nella sua forma iniziale di maggioranza larghissima, e al postutto assai coesa, ha portato a casa per l’Italia il massimo risultato dalle risorse europee del Recovery Plan (kudos) e ha gestito con efficienza la seconda, terza e quarta ondata della pandemia. Grazie, peccato che in politica la riconoscenza non esista.
Perché i politici, questi politici, sono delle brutte persone? Anche, ma quando Letta e Salvini entreranno nella gabbia per contendersi il vostro voto, se dovessero abbracciarsi e dirsi “siamo d’accordo su quasi tutto e sopra le nostre picciole divisioni mettiamo il supremo interesse della nazione”, cambiereste canale schifati. Non dite di no, che lo sappiamo, lo facciamo anche noi.
Anche perché, oltre ai voti, sono in ballo spiccioli veri e interessi reali. Dove si metterà l’asticella del disagio per i contributi pubblici contro il caro bollette, quali bonus dovranno essere rimodulati, rimossi o garantiti, quando e come si allenteranno definitivamente le limitazioni per la pandemia, sono solo alcuni dei temi dove, perdio, non siamo e non sono tutti d’accordo.
Sa tutto Draghi? Fa tutto Draghi? Date palla a Draghi e lasciate fare? Io ho smesso di crederci da quando, in una calda estate del 2002, Luis Nazario Lima, per me l’unico Ronaldo, ha lasciato l’Inter spezzandomi il cuore e le illusioni sui solisti.
Il Governo, scommetto una birra, non cadrà, ma barcollerà ancora e il dondolìo sarà sempre più accentuato quanto più ci si avvicinerà alle elezioni.
Continuare a invocare il PNRR come il figlio di una coppia che per lui non si può separare fa parte, come l’interesse nazionale, dell’armamentario retorico a cui credono molto meno di quanti lo utilizzano.
Il PNRR è tante cose insieme: tanti, tantissimi soldi; un piano di vertiginosa complessità; un’idea spiccia e un po’ (tanto) eterodiretta di dove deve andare il Paese; un’enorme e benedetta pala per scavare le famose buche di Keynes. Il tutto gestito dall’Europa che, come chi ristruttura casa, paga a SAL, Stato Avanzamento Lavori.
Ovvio che se il Governo dovesse cadere, il general contractor del cantiere andarsene, sarebbe un problema. Ovvio, che le sfide sono difficilissime (alcune mal concepite?) e che non basterà SuperMario. In soldoni, meglio che stia lì, anche per ricontrattare i SAL se mai dovesse emergere che alcuni obiettivi sono stati un po’ ottimistici, ma il PNRR come mastice del Governo durerà poco.
Non ci sono strade alternative, bisogna inoltrarsi nella giungla.
Si porti l’antizanzare, Presidente.
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