Governo

Pochi soldi e tanta burocrazia: così (non) stiamo gestendo il dopo-terremoto

20 Febbraio 2017

Risorse scarse, priorità non rispettate, lentezza nell’azione e nell’erogazione delle risorse. Tanta buona volontà che però non riesce a concretizzarsi quanto dovrebbe. Questo potrebbe essere il giudizio sulla gestione dell’emergenza terremoto nel centro Italia da parte del governo. Più sommariamente si può dire che, a fronte di cifre inferiori a quelle di cui si sarebbe bisogno, la policy è giusta ma i tempi sbagliati. Da quando c’è stata la prima scossa, quella del 24 agosto che ha distrutto Amatrice, Accumoli e altri comuni limitrofi, fino alle ultime del 18 gennaio scorso, i governi a guida Matteo Renzi e Paolo Gentiloni hanno messo in campo 3 decreti legislativi, l’ultimo dei quali il 2 febbraio scorso. Per la ricostruzione finora sono stati stanziati 4,5 mld di euro: 3,5 per gli edifici privati e 1 per quelli pubblici. Il problema, però, è che ce ne vorrebbero almeno 10.

Tre sono le linee direttive su cui si è mosso Palazzo Chigi, in accordo con la Protezione civile e il Commissario per il terremoto, Vasco Errani (i cui 4 sub commissari sono i governatori di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo). Una prima fase di emergenza ha previsto la liberazione di strade e di macerie, la collocazione delle persone negli hotel e nelle casette (le famose Sae, soluzioni abitative di emergenza), e la messa in sicurezza degli edifici pericolanti. Un secondo filone riguarda gli sgravi fiscali per persone fisiche e imprese, e gli aiuti economici alle aziende, agli agricoltori e agli allevatori, così da rimettere minimamente in piedi il tessuto produttivo ed evitare così lo spopolamento delle aree colpite. Infine, le operazioni di ricostruzione vera e propria, con interventi strutturali su edifici danneggiati o quelli che non ci sono più. Il governo, per esempio, ha deciso di ripagare il 100% delle case distrutte all’interno dei borghi, ma solo del 50% invece per quelli nelle aree circostanti, secondo la logica di ricostruire i paesi e il loro tessuto sociali. La terza fase, naturalmente, è quella più lunga, ma speriamo non ci vogliano anni come sta accadendo ancora a L’Aquila dopo il terremoto del 2009.

Le linee, dunque, sono giuste e condivisibili, anche secondo gli esperti. Il problema, però, è che finora ha funzionato solo la fase della primissima emergenza, ovvero la messa in sicurezza delle persone e degli edifici, grazie all’azione della protezione civile e dell’esercito: le case pericolanti sono state “imbullonate”, come si dice in gergo tecnico, e le persone sfollate sono state trasferite negli hotel, specialmente lungo la costa marchigiana e abruzzese. Molte macerie, anche del terremoto di agosto, però, sono ancora lì. Mentre di casette se ne sono viste assai poche. Ad Amatrice, ovvero il comune più colpito in termini di vittime (235) e danni, le 300 casette previste saranno operative solo a giugno. Qualche giorno fa da Palazzo Chigi è stata spedita una missiva a tutti gli hotel che ospitano sfollati: la proroga di convenzione (60 euro al giorno per ogni terremotato pagati dallo Stato) è stata prorogata fino a dicembre 2017. Segno evidente che la maggior parte delle casette non saranno disponibili prima di gennaio 2018. “I soldi stanziati spesso sono rimasti fermi per lentezze burocratiche. Finora ci sono stati troppi ritardi, non nelle decisioni del governo, ma proprio nell’erogazione dei fondi, che vengono stabiliti e poi restano fermi”, racconta Lara Ricciatti, deputata marchigiana di Sel che si è molto occupata della faccenda. “Diciamo che c’è un concorso di colpe tra il governo centrale, i ministeri coinvolti e gli enti locali”, aggiunge la parlamentare.

Le lungaggini sono da attribuire alla troppa burocrazia. “In periodi normali le regole vanno rispettate, ma l’emergenza è come uno stato di guerra: per sgombrare le macerie, per esempio, sarebbe meglio poter fare gare d’appalto sotto una certa soglia solo con un massimo di 5 imprese, altrimenti, se devo aprire una ventina di buste, i tempi si allungano a dismisura. Poi non ci meravigliamo se in molti comuni i detriti sono ancora per strada”, spiega Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice.

Snellire le procedure, velocizzare i tempi. “Lo stesso vale per le casette: il Comune individua il terreno, poi deve interpellare la Regione che deve dare il via libera e poi chiamare i proprietari: anche questo processo è troppo lungo”, continua Pirozzi. Secondo cui, però, la vera partita è quella di mantenere il tessuto produttivo, “perché è inutile mettere le casette se poi non c’è lavoro”. Per questo motivo, secondo il sindaco di Amatrice, la sospensione delle imposte fino alla fine del 2017 “è come dare un’aspirina a un malato di tumore”. Sarebbe invece utile “un’esenzione totale per 4 anni da imposte e contributi per le imprese di 51 comuni del cratere che hanno all’interno delle zone rosse, altrimenti le piccole e medie realtà magari riescono ad aprire, ma poi non sopravvivono”. Oppure “è meglio dare un assegno tipo Tfr alle aziende: tenete i soldi e riaprire dove volete. Ma così il territorio muore”, chiosa Pirozzi.

Insomma, la faccenda è complessa e riguarda tanti soggetti in campo: governo, regioni, province, comuni, protezione civile e Anas. “E’ successo che il governo abbia erogato fondi che in realtà erano stati già decisi con l’ultima legge di stabilità. Oppure denari già sbloccati che, non si capisce per quale motivo, sono ancora fermi. E togliere i fondi alle province negli ultimi anni non è stato d’aiuto, perché l’Anas spesso non è in grado di gestire l’emergenza. Tenendo conto che le strade sono quasi tutte provinciali, questo è un problema. Ma è tutto il meccanismo che andrebbe rivisto”, osserva Patrizia Terzoni, deputata marchigiana del Movimento 5 Stelle.

Nell’ultimo decreto, il numero 4286 del 9 febbraio, l’esecutivo ha messo in campo 56 milioni di fondo per emergenza e ricostruzione, 41 milioni per aiuti a famiglie indigenti, mentre 160 milioni erano i fondi già stabiliti a dicembre che ora sono stati sbloccati. Nella tragedia come sempre ci sono anche pennellate di farsa, come l’esenzione dal canone Rai: per non pagare, i terremotati dovranno dimostrare di aver avuto il televisore distrutto dal sisma. I 160 comuni del cratere del sisma, sentitamente, ringraziano.

 

 

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