Governo
Pessimi, ma che invidia il Contratto
Quanto ci piace sfotterli, Giggino e Matteo, improvvisati Totò e Peppino in orbace.
E metti la TAV e togli la TAV, e appiattisci la tassa e rialza la tassa, e fai il condono sui vicini e incarcera gli evasori… uno spettacolo deplorevole di improvvisazione, furbizia, attaccamento alla cadrega (che è la sedia, non la mela, Giggino). Destri, incostituzionali e senza coperture, ci sta tutto.
Ancora non sappiamo se i loro eroi riusciranno a fare del “Contratto” (che altro non è che un comunissimo programma di Governo di coalizione in regime proporzionale, come il Comitato di Conciliazione non è che che il comunissimo Vertice di Maggioranza o Caminetto, ma quest’anno si porta lo stile Magritte) un Governo.
Non un comune Governo, ma il più a Destra e il più pazzo del mondo.
Da qui sgomento e indignazione, il Financial Times e i barbari, l’ovvia Europa e persino quella stampa che prima ha creato il Mostro lisciando il pelo a ogni Vandea e oggi si duole che la Vandea stia facendo un patto di coalizione con Scientology. Tanti meme sui social e tanto ridere, ma è un ridere amaro, da freddura che se la risenti forse non fa troppo ridere. Non solo perché alla fine quei due comporranno il Governo del nostro Paese, c’è anche dell’altro.
Lo scherno verso Giggino e Matteo che vogliono uscire dall’Euro e ridistribuire il reddito (e che per questo non ci dimentichiamo hanno preso poco meno del 50% dei voti e oggi forse lo supererebbero) non è lo scherno di Franti ma quello di un Bottini un po’ incarognito che prende in giro l’alunno che non sta perfettamente in fila o ha il quaderno in disordine. Non mi fa più ridere perché ci dice che siamo cinici, invecchiati, imborghesiti e forse anche politicamente in menopausa. Continuo a pensare che il M5S sia una setta pericolosa e la Lega il partito dei redneck italiani e che dalla loro unione non verrà nulla di buono, ma sinceramente ne invidio la radicalità, l’anticonformismo e la fiducia nella politica.
Mentre pensavo che fosse un’idea assolutamente ingenua e pre-politica quella delle singole ricette che risolvono (la flat-tax, il reddito di cittadinanza), perché alla fine governare è stare in equilibrio su un filo i cui capi sono tenuti da altre mani (l’Europa e i “buffi” lasciati dai nostri predecessori), ho capito che stavo facendo il vecchio che scuoteva la testa di fronte a due adolescenti che amoreggiano al parco: magari sono sgraziati e brufolosi, ma quanta invidia per quella leggerezza!
Prendiamo l’Europa e i mitici mercati, che hanno già fatto capire cosa pensano del radicalismo del Contratto: siamo tutti assolutamente certi che abbiano sempre e comunque ragione? Soprattutto, siamo certi che una loro riforma non sia più nemmeno un orizzonte praticabile? In quelle risate e in quell’indignazione per il Contratto c’era un po’ dell’alterigia borghese per chi non sta in fila composto e mi ha dato fastidio. Soprattutto, visto che alla fine la democrazia si nutre di voti e di gente da convincere, ha dato fastidio a oltre il 50% degli italiani e dunque o è sbagliata o quantomeno è stata comunicata male.
Se facciamo un salto nel campo dei ragionevoli e troviamo Sandro Gozi che spiega che l’Europa è un cosa tipo che “dobbiamo prendere le medicine oppure staremo ancora peggio”, anche le fedi più solide vacillano. La politica si nutre di sogni, sfide, utopie, anche di minchiate, e poi lascia fare ai tecnici il lavoro noioso di composizione, da cui dipende il mantenimento in vita delle comunità.
Senza Franti e Garrone, “Cuore” sarebbe stato illeggibile e similmente senza radicalità la politica è un polpettone da cui le persone normali si allontanano, salvo tornare incazzate in alcuni momenti storici, come il presente.
Radicalità significa dire delle cose e pensare seriamente che la politica possa produrre risultati per la vista delle persone, ossia accorciare la catena tra consenso politico e reazione sulle condizioni materiali.
Volendo dare il buon esempio, dico due cose piuttosto impopolari.
Primo: Craxi, Berlusconi e Renzi sono stati, mutatis mutandis, gli ultimi tre leader radicali nel capo delle forze politiche ragionevoli (ossia negli scaffali della non-fiction). Hanno fatto e hanno sbagliato, ma hanno capito che la catena fra voto e vita andava accorciata e ci hanno provato, mentre i ragionevolissimi Prodi, Monti e Letta l’hanno allungata in nome delle compatibilità con tutto quello con cui si doveva essere compatibili. Morto uno, mummificato l’altro, ucciso politicamente il terzo, manca ai ragionevoli un leader radicale e se il meglio che si riesce a trovare sono Martina e Delrio, mancherà a lungo.
Secondo: mi scuso per il marxismo ma il radicalismo si misura nei rapporti economici e non sui diritti individuali. Il matrimonio omosessuale e il diritto inalienabile a non essere molestate sono elementi costitutivi della contemporaneità occidentale e come tali li pretendiamo ma non hanno in loro nulla di radicale. Fate la prova finestra: se i valori per cui vi battete sono gli stessi per cui si battono Google e Hollywood, allora probabilmente non sono così radicali. Anzi, l’enfasi eccessiva attribuita a queste trasformazioni come mutamenti radicali della società nasconde a mio avviso una più o meno esplicita rinuncia a ben altri mutamenti, che pertengono ai rapporti economici (lungi da me qualunque apertura di credito all’inutilerrima sinistra nostrana).
Tornare a essere radicali, anche per contrastare meglio i due Stranamore sul terreno del consenso popolare, significa recuperare l’idea semplice semplice che la politica possa e debba intervenire sulle condizioni materiali delle persone, in un momento in cui sono messe in pericolo (non dal jobs Act né dai barconi, you idiot!, ma dai padroni dell’algoritmo).
Nella mia modesta agenda questo significa tornare seriamente a parlare dell’Italia come un Paese che produce e innova grazie alla propria biodiversità culturale, in cui il lavoro significa innanzitutto fare delle cose e venderle, in cui siamo cittadini del mondo ma è chiara la differenza tra il centro di Trento e il centro di Palo Alto. Un Paese anche molto di provincia, ma la provincia di Paolo Conte e non la provincia dei forconi e dello scarso ricambio di corredo genetico dei sostenitori dei figuri del Contratto. Giovani sgraziati e brufolosi che hanno detto che faranno la Storia (che pirla!, ma che invidia…).
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