Governo

Perché tutti odiano la Boschi. E perché lei fa bene a restare in politica

15 Dicembre 2016

Alcune considerazioni sull’ex Ministra e attuale Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi. Parlando ancora di referendum, di strategie, di conflitti in corso. E di quella gogna virtuale che è ormai costume diffuso, fra la Rete che insorge e i partiti che continuano a fomentare.  La battaglia politica, in un mondo ideale, passerebbe da ben altri canali.

1)    Le ondate di insulti, volgarità e accuse, che stanno travolgendo Maria Elena Boschi (in linea con gli ultimi due anni, ma con rafforzato vigore), non sono degni di un paese civile. E non lo sarebbero, naturalmente, se indirizzati a qualunque donna, di qualunque parte politica, trasformata in vittima sacrificale dalla folla bavosa, da alcuni leader di partito, ma anche da certe penne al vetriolo. Nell’aprile del 2016 Marco Travaglio, a proposito del referendum sulle piattaforme petrolifere, titolava “Boschi trivellata dai magistrati”, mentre lo scorso luglio le suggeriva di “intrattenere il pubblico sull’annosa ansia da prova costume, sull’endemico problema del giro-vita, sulla vexata quaestio della cellulite, o su un argomento a piacere”. Tanto per fare un esempio.
Oggi la grillina Paola Taverna la definisce “ciliegina su una torta di letame”,  mentre sulla bacheca della ex Ministra si leggono chicche del tipo: “Finalmente un alto cancro che mandiamo via!”,  “Meriti solo piselli e mozioni di sfiducia”, “Fatti assumere dalla squadra di pulizie di montecitorio così finalmente inizi a lavorare in quello che ti esce meglio: pulire i cessi!”…

La vignetta di Mannelli sulla Boschi

L’obiettivo del disprezzo? La delegittimazione politica, tout court. La Boschi paga il suo essere renziana, tra le più illustri figure del giglio magico. E per fargliela pagare la si utilizza come bersaglio principe di tutto il risentimento possibile. Magari ricorrendo ai vecchi metodi, buoni per strapazzare le donne: colpire l’aspetto fisico, la sessualità, i clichè comportamentali, le qualità intellettuali. Retaggio misero di culture maschiliste trasversali.
Infelice fu anche l’uscita del pur bravo Mannelli, quando disegnò la Ministra seduta, con tanto di mini gonna inguinale, piazzandole in cima la scritta “Riforme: lo stato delle cos (c) e”. Sia chiaro, nessun limite alla vis satirica, che d’irriverenza vive. Ma che connessione c’è tra le cosce della Boschi e la sua riforma? Nessuna. A parte evocare la solita tiritera: femmina bona, femmina buttana. O al massimo femmina scema. Oltre le gambe, niente.
Gli attacchi rivolti dalla folla ad Agnese Landini in Renzi sono un altro caso esemplare, consumatosi sull’orribile gogna dei social: giunti da destra e da sinistra, i laidi commenti hanno macinato negli anni le stesse banalità velenose (brutta, trans, raccomandata dal marito…). Trivialità, sessismo e schizzi di fango. La risposta è stata, puntualmente, in termini di stile, eleganza, pazienza, educazione, sobrietà. E silenzio.

Agnese Landini, moglie di Matteo Renzi
Agnese Landini, moglie di Matteo Renzi

2)    Secondo la vulgata, la Boschi sarebbe una mezza oca. Non solo la colpa d’essere renziana, ma anche il difetto d’essere cretina. Niente di più falso. La rampante avvocatessa di Laterina è una giovane donna intelligente, brillante, preparata, determinata e sufficientemente spregiudicata. Una che, a dispetto dei pochi anni, ha condotto una battaglia egregia per consegnare al Paese una discreta Riforma della Costituzione, gestendo i suoi dicasteri con serietà. Ha sostenuto il peso di una responsabilità altissima e di una pressione costante, ha incassato critiche e insulti col sorriso, ha trascorso 1000 giorni a studiare e lavorare senza sosta. Niente più che il suo dovere, ma che almeno le sia riconosciuto.
E una cosa è certa. Se un volpone della politica come Matteo Renzi ne ha fatto il suo alleato più fidato, qualcosa vorrà dire. Bella e suadente, sì, ma chi se ne frega. Palazzo Chigi non è Miss Italia. La Boschi resta uno dei migliori ministri del governo uscente.
E però, alla graziosa biondina di buona famiglia, con l’aria da secchiona, è facile assegnare di default lo stigma di bambolina raccomandata. A proposito di cliché. Ora, Maria Elena Boschi non è un’intellettuale, non è una statista, non è un genio della politica, ma è stata un’ottima figura istituzionale. Tenace, talentuosa. Qualche frase fuori posto c’è stata, qualche errore certamente, ma chi non ne fa, a 35 anni appena?
Fare politica non è per tutti. Servono militanza, esperienza, capacità dialettica, cultura, intelligenza robusta, intuito. La difesa dei politici non professionisti, furbamente cavalcata dal Movimento Cinque Stelle, è deleteria. I bravi politici facciano i politici, al meglio delle loro forze, finché hanno qualcosa da dire e da dare. La Boschi è una che dovrebbe insistere: la carte, al netto della maturità che verrà, sembrano esserci già.

Maria Elena Boschi

3)     “La Boschi ha mentito! Aveva detto che se falliva il referendum smetteva di fare politica!”.
Vero, lo ha detto, rispondendo a un’intervista della Annunziata sui Rai 3. Adesso, dopo una decina di giorni di silenzio, utili a smaltire la clamorosa batosta referendaria, Maria Elena è ancora sotto le luci della ribalta. Con una nomina persino più pesante. Non più Ministro, ma unico sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ovvero braccio destro del neo Premier Paolo Gentiloni. Una sentinella di Renzi, dicono i maligni, piazzata là per sorvegliare e fare le veci del vero regista di questo governo di transizione. E hanno ragione.
Nomina assai poco opportuna, dunque, dal punto di vista del consenso popolare. Una scelta nient’affatto scaltra. Ma il potere spesso confonde e le ragioni di Palazzo hanno una logica propria, non priva di conseguenze, buone o nefaste che siano. Tutto è calcolo, rischio, scelta, mediazione. Ambizione. E tutto, elettoralmente, si sconta. L’incapacità di fare un passo indietro, di saltare un giro,  in certi momenti è fatale.
Però qui il tema è un altro. Aveva detto – come Renzi – che lasciava la politica e non l’ha fatto. E allora? Un conto sono le dimissioni da uno specifico incarico pubblico, annunciate in relazione a una sconfitta e poi ottemperate: una forma di responsabilità verso gli elettori. Da questo punto di vista l’ex Premier è stato impeccabile.
Diverso è ipotizzare l’abbandono totale di una carriera. Lo dici per scoramento, per impulsività, per rabbia, per tattica, per confusione, per leggerezza, per errore. Meglio non farlo: le parole restano e ritornano. Comunque, non può essere un impegno. È una scelta personale. Lo aveva detto anche Beppe Grillo, nel 2014, quando temeva di perdere le europee, che in effetti perse. Ma non per questo appese il blog al chiodo.
Succede che si cambia idea, che si riflette, che la passione è più forte. Magari erano solo delle uscite ad effetto. O semplicemente i contesti mutano e con essi le prospettive, le responsabilità, le valutazioni: non contestualizzare, in politica, è peccato grave.
Continuare a spingere su questo tasto, appellandosi a una frasetta buttata lì in un’intervista, fa abbastanza tristezza. La partita si gioca alle urne e la vittoria non si ottiene invocando la sparizione politica dell’avversario. Anche se “l’aveva detto in tv”.

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi

4)    “Il popolo ha bocciato la sua riforma e lei è stata promossa dal nuovo governo!”.
Non diciamo fesserie. L’80% di coloro che hanno votato No, di quella riforma non sa niente, o quasi. Ad essersi espressa sul merito della nuova Costituzione è stata un’elite, non la massa. Gli italiani non hanno bocciato la riforma Boschi, perché non la conoscevano, non l’avevano capita appieno e in fondo nemmeno gliene fregava troppo. Si è trattato di un voto politico, fortemente orientato dai partiti, usato per detronizzare Renzi. Mandare via il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri era l’imperativo categorico. E la Costituzione diventava occasione impropria per uno scopo dichiarato.
La lamentela sul ripescaggio della Boschi, in quanto madrina di una riforma approvata in realtà dal Parlamento e poi bocciata dal popolo, è dunque deboluccia. Il fronte del No non tollera di rivederla in campo in quanto simbolo di quel renzismo che, nel sentire comune, si fa capro espiatorio del disagio sociale diffuso. Resta lei, insieme a lui, la rappresentazione iconica di una gioventù ambiziosa, agiata, preparata, perbene, razionale, baldanzosa, che conquista il potere rinunciando perlopiù a retoriche populiste/pauperiste. E che suscita la rabbia di chi, invece, non ce la fa a tirare avanti. Lo scollamento fra i due mondi brucia. E la carta dell’ottimismo non trascina più.
Il dato vero, alla fine, è che i 47 articoli della riforma stessa sono rimasti un contorno, nel mezzo di una feroce bagarre del tutti-contro-uno.
Le colpe di Renzi? Tante. Posto che gli avversari avrebbero comunque personalizzato, e data per certa la sua volontà di cercare un consenso personale attraverso questa sfida storica, è la strategia a non aver funzionato. Le dimissioni andavano garantite, sia in caso di vittoria che di sconfitta, a conclusione di un percorso. È solo così che la foga degli haters si sarebbe placata: togliendo loro il pretesto. Nella follia egoica e accelerata di questa operazione politica, Renzi ha trascinato con sé anche la Boschi. Ci sta. Trionfi, sconfitte e sbagli condivisi. Ma quei 47 articoli restano – ahinoi – dettagli sbiaditi sul fondo della scena. Un’ennesima occasione persa, per un paese irriformabile, irredimibile. Mai veramente uscito dalla Prima Repubblica e intenzionato a restarci, per chissà quanto tempo ancora.

Insulti alla Boschi sulla sua pagina Facebook
Insulti alla Boschi sulla sua pagina Facebook

5)    Maria Elena Etruria. Così la chiamano in tanti. Anonimi cittadini o rappresentanti di spicco della Lega e del M5S. E qui sta il punto. La Boschi sconta, nell’immaginario collettivo, il coinvolgimento indiretto nel fallimento (e nel salvataggio) della banca di cui il padre fu, per un anno, Vicepresidente. Le colpe di lui – ad oggi non confermate da nessuna condanna – ricadono su di lei: quale migliore occasione di uno scandalo bancario per mettere alla gogna un esponente del governo?
In realtà, eccezion fatta per quel novero di azionisti che – persi i loro risparmi dopo il crack – non sono rientrati nel piano del governo per il rimborso forfetario, l’opinione pubblica insorge, spesso, sulla scia di propaganda ed emotività.
E oggi come non mai, prolificano gli insulti sui social: “Dimissioni bimba viziata,e speriamo riaprano l’inchiesta su banca Etruria e condannino te e tutta la tua famiglia”, “Comprati un po’ di azioni di Banca Etruria…. così forse capisci che vuol dire sbattere forte il culo . Oppure chiedi ai tuoi amichetti migranti se ti fanno vendere qualche ombrello alla stazione Termini”, etc.
Ma se i tanti lanciatori di saette sapessero che la Boschi aveva azioni corrispondenti ad appena un migliaio di euro (perduti, naturalmente), che non ha mai avuto alcun ruolo nella vicenda, che il padre (attualmente solo indagato) ha perso ogni incarico insieme a tutto il Cda, pagando due maxi multe di 130 e 144mila euro, che il decreto governativo ha consentito di salvare i conti di migliaia di correntisti e obbligazionisti (destinati in parte ad andare in fumo col bail-in) e di ricapitalizzare con un Fondo specifico la quota sana della banca, tutelando tanti posti di lavoro, ecco, forse urlerebbero un po’ meno.
Ma in tempi di populismo buttarla in caciara conviene, aiuta, rincuora. E soprattutto fa sentire protagonisti. Piazze e megafoni virtuali, con numeri e ritmi esponenziali, per dire la propria, per contare, per sfogare il malessere contro un nemico qualunque e necessario. Che sia il governo non eletto dal popolo (?), la ministra bella e cocciuta, il Presidente della Repubblica da condannare a morte o la Presidente della Camera da dare in pasto al branco. Parola d’ordine: odiare.
Cosa resterà al termine di questa guerra? L’immagine martellante è quella di un mucchio spaventoso di macerie. Culturali, politiche, umane.

 

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