Governo

Perché Matteo Renzi non funzionerà

11 Marzo 2015

Tema: sgombriamo il campo, fui renziano quando ti tiravano i pomodori e fui tra coloro che lo votarono perché non c’era in campo, come non c’è ora, uno straccio di alternativa credibile.

Se scrivo che non funzionerà non è perché notoriamente mi piace scendere dal carro dei vincitori né perché ho preso un due di picche dalla signora Boschi ma perché sono convinto che i fondamentali dell’economia italiana non essendo mutati non sono per nulla rassicuranti e questo per un motivo molto semplice: lo Stato nella sua essenza burocratica pervasiva e nella sua immane presenza non è, e non sarà stante i programmi, in alcun modo toccato dalla politica di governo.

Svolgimento: i governi, anche quello italiano, sono stati travolti dalla crisi del debito sovrano e su questo e questo solo aspetto hanno concentrato nella emergenza la loro azione: farsi promuovere dall’Europa e dai Mercati è stato il mantra. Per ottenere questo risultato abbiamo ripercorso con strumenti diversi la medesima politica di lungo periodo dei Governi Prodi e dei Governi Berlusconi, ovvero abbiamo scritto sempre più sofisticati capitoli del libro “Del Debito Pubblico e della sua manutenzione”, arte nella quale i ministeri competenti hanno affinato tecniche raffinatissime, in primo luogo fiscali, e sempre più invasive anche a scapito del diritto individuale, della nostra tutela come cittadini e della nostra privacy. La lotta all’evasione fiscale si è trasformata da un normale compito di uno Stato decente all’imperativo categorico di tutti coloro che nella evasione vedevano non tanto il problema di giustizia fiscale ma la necessaria raccolta ovunque e comunque di risorse per nutrire il moloch statale senza alcuna modifica della sua costosa e inefficiente struttura. Della serie: tu paga, poi vediamo.

La controprova è di una disarmante evidenza per chi non vuole farsi raccontare la favoletta del “nessuno ci aveva mai provato, Matteo sí” che è una roba che mi dà sui nervi come poche perché la storia o la conosci o la studi e se fai politica forse la riscrivi, se vinci, ma non puoi ignorarla pena la malafede o peggio.

L’anno che verrà (così citiamo Dalla e facciamo anche capire quanti anni ho) sarà potenzialmente l’anno migliore per i mercati occidentali, con gli Stati Uniti avviati senza sforzi particolari ad una crescita che noi abbiamo visto solo a fine anni ’50 anche solo per il vantaggioso prezzo del petrolio. Per l’Europa è quasi una manna sul mercato dei capitali: QE di proporzioni imponenti, liquidità in cerca di posizioni, Euro debolissimo quasi alla parità col Dollaro (che Prodi ai tempi indicava come un obbiettivo), forse in grado di compensare il calo di domanda dei BRICS, Unione Europea disposta a mettere qualche quattrino sul piatto degli investimenti e comunque rassegnata ad allargare i criteri di giudizio sui bilanci dei paesi membri; previsioni di ripresa sostenute anche da posizioni di partenza da “peggio di così non può andare”, banche strapiene di liquidità. Condizioni simili non si sono mai verificate negli anni della Grande Crisi del 2008 ma anche nel passato non abbiamo mai visto dei macroeconomics così intensi e pervasivi. Keynes avrebbe poco da aggiungere.

Eppure due dati, e due dati soli, bastano per dire che non funzioniamo e non per colpe delle imprese: il basso tasso degli investimenti (che si giustifica in molti modi sui quali non  mi soffermo) ma soprattutto la crescita del PIL che nelle previsioni, tutte ma proprio tutte, rimane per l’Italia quella di sempre, ovvero nettamente più bassa della media europea.

Domanda: ma se con una situazione così favorevole anche a detta di Matteino il Paese continua a battere in testa e a perdere ricchezza rispetto ai suoi partner, se cioè il differenziale con le altre aree euro e comunitarie continua a crescere,  non è che le cose in realtà non vadano poi così bene? E se è credibile dire che le forze creative e distruttive del mercato di Schumpeter (un po’ dimenticato in questo periodo perché si è evidenziato il lato menagramo) abbiano fatto il loro lavoro  e cioè le aziende, quelle sopravvissute e quelle rimaste in Italia (notare la precisazione, please) abbiano fatto quanto dovuto per razionalizzare e innovare, non è che, pour case, il problema stia nella scatola che ci tiene dentro?

La sostanza è: come Prodi, come Berlusconi, un po’ meglio di loro ma alla fine Matteino ha manutenuto il debito mentre sul conto economico, e cioè costi e finanziamento dello Stato, suo perimetro e sue competenze, in realtà è rimasto a quel misto di solidarismo cattolico e di socialdemocrazia latina che ha caratterizzato da Fanfani in avanti la nostra storia. Con la sola differenza che all’epoca era una teoria economica e un esercizio del potere mentre oggi, con le banche al posto delle partecipazioni statali, semplicemente si tiene l’eredità senza l’ideologia, cambia il mercato del lavoro privato e assume i precari nella pubblica amministrazione.

Cambiare uno stato non è cosa semplice, bisogna avere visione, fortuna e un qualche vago modello (vago, e con fiducia nella società perché quelli dettagliati fecero quinquennali disastri). Reagan vinse la guerra fredda, Bush pagò il conto e il grande Bill dello Stato Leggero e di “It’s the economy, stupid” giganteggiò non solo con le stagiste.

Matteino non so cosa voglia fare, ma la netta sensazione è che lo Stato che ha in mente sia quello di sempre, quello che costa un fracasso di quattrini e di tempo perso per i cittadini e che sopravviverà senza alcuno sforzo alla epocale riforma costituzionale del Senato.

Matteino, ti prego: studia la storia, non rifilarci Prodi e Fanfani: stupiscici, da uno come te mi aspetto effetti speciali e non uno 0,5% della Croce Rossa. Metti mano allo Stato e liberaci dalle catene perché questo è quello a cui nessuno ha ancora pensato. Il resto, non ci crederai, ma anche se i sicofanti e gli amici non te lo dicono e tu non lo hai studiato, è un déjà vu..

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