Governo

Perché la parata quest’anno è stata un disastro

2 Giugno 2019

Non è obbligatorio far sfilare le Forze Armate il 2 di Giugno per la Festa della Repubblica. Non lo fu in diverse occasioni quando si cercò un modo per ricucire la storia della Patria uscita dalle macerie del nazionalismo con lo spirito repubblicano risorgimentale, per mostrare che l’unico vero disegno politico con colossale valenza storica concepito e realizzato in Italia non si compì con la Grande Guerra, nella quale invece affondò le proprie radici il Sansepolcrismo, ma con la lotta per la Libertà e il referendum per la Repubblica. Piacesse o meno, si coronava un disegno secolare da Dante alla vecchiaia di Machiavelli su fino ai patrioti “elitari” dell’ottocento pre-unitario. Elitari perché cercavano il popolo per aiutarne il riscatto civile e trovavano il piombo degli sbirri con popolo silente poco dopo l’audace sbarco o la sognante rivolta. Ci volle la caduta del fascismo per chiudere il compromesso coi Savoia delle leggi razziali contro gli italiani e sciogliere le forze armate dal giuramento dei suoi ufficiali nelle mani del Re prima che in quelle del popolo.

Se decidi però di ricongiungere le Forze Armate con la Repubblica e celebrare la nascita dello Stato contemporaneo, ottima scelta che vide in Ciampi, ex ufficiale autiere nel secondo conflitto mondiale la perfetta coincidenza delle due cose, allora scarti il IV Novembre e il 2 Giugno e le cose le fai bene, anzi benissimo.

Quest’anno la sfilata è stata semplicemente imbarazzante, forse la peggiore a mia memoria e perfetto specchio del vento di follia che ha avvolto gli italiani, nonché della inesistenza di una politica estera governativa della quale le Forze Armate sono pur sempre lo strumento di proiezione principe. Che vi fosse un gran malessere delle Forze Armate nei confronti della politica estera del Governo, della gestione della Difesa, della violazione del Diritto del Mare è cosa nota: la Marina e la Guardia Costiera hanno più volte mandato al Colle messaggi di disappunto, se non di profondo dissenso, sulla gestione dei naufraghi nel Canale di Sicilia e sulla politica del “dual use” plasticamente rappresentata dagli “equivoci” nati il giorno del varo di Nave Trieste. L’Aeronautica non sa come organizzarsi intorno alla gestione degli F35 sui cui arrivi non ha certezze (e quindi manutenzioni, addestramento piloti, sistemi d’arma e cooperazione con le altre aeronautiche nonché tempi del passaggio dai Tornado nelle nebbie più che tra le nuvole), per non parlare della vicenda dei Droni Piaggio respinti al mittente MISE con una lettera di una durezza inconsueta. Inoltre, l’esercito ha un cahier de doleance sterminato ma la prima preoccupazione sono le condizioni di ingaggio delle nostre forze speciali nel bel suol d’amore, dall’ospedale di Misurata ai nuclei operativi nel più assoluto silenzio delle dune del Fezzan, più “soggetti” agli sbandamenti quotidiani della nostra politica estera che alle fucilate dei Tebù e dei Tuareg. Tutte e quattro le armi poi in imbarazzo di fronte alla “cintura sanitaria” che l’intelligence degli alleati Nato ha prudentemente steso intorno alle stellette del Belpaese in attesa di capire quanto il governo sia compromesso con Mosca.

Dato che non è più tempo di tintinnii di sciabole del Generale De Lorenzo e che gli uomini dello Stay Behind sono ormai piuttosto artritici e non sbarcano più nottetempo dai sottomarini americani sulle coste sarde o liguri, ci hanno pensato non uno ma due Capi di Stato Maggiore della Difesa collocati a riposo, generale Camporini e generale Arpino, e un Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Tricarico, a dar voce a chi portando ancora le stellette non può, non vuole, non deve parlare. Facile la polemica sulle pensioni d’oro ma, attenzione: è un’arma a doppio taglio perché è un problema vero che nasconde un malessere vero.

Per tornare a questa mattina, la sfilata è stata imbarazzante per pochezza, per significato, per polemiche insensate, per comportamenti villani e irrispettosi (non portare una cravatta davanti a chi porta le stellette non è stare con il popolo ma stare contro il popolo). Basti una considerazione: in questo momento “ufficialmente” le forze armate italiane sono impegnate fuori dai confini nazionali in 23 Paesi con 34 missioni differenti, un totale di circa 6.000 uomini che con le turnazioni annuali significa il coinvolgimento di almeno 25.000 effettivi. A questi dobbiamo aggiungere i più di 7.000 uomini che incontriamo tutti i giorni per l’Operazione Strade Sicure (anche questi da turnare). Avrei voluto vederli sfilare questi uomini e queste donne. Avrei voluto che fossero dietro la fanfara della Brigata Sassari, avrei voluto vedere non solo le bandiere di guerra che tutte insieme non dicono nulla ma dietro ogni bandiera servivano le facce e le stellette e avrei voluto che al posto dei sempre bei cenni storici sulle tradizioni qualcuno dicesse cosa stanno facendo ora. Invece silenzio in telecronaca, imbarazzo sul significato, chiacchiericcio in tribuna, corazzieri splendenti sotto il sole e la Flaminia. Un mondo vivo che rischia ogni giorno spedito nel nulla dello spazio profondo politico e mediatico; una sfilata breve, che poi c’è il telegiornale, e niente cravatta che non c’è nulla da celebrare (ma allora il guardaroba di divise impropriamente indossate era per far stirare la Isoardi?).

E allora ho intrapreso la mia personale protesta: è domenica, fa caldo ma ho tirato fuori la cravatta scura e il blazer blu coi bottoni d’oro che qualcosa della divisa di Marina e Aeronautica ricorda, mi sono messo al bavero la mia spilla da tenentino numero 799 del 6° Stormo Caccia IDS di Ghedi e fregandomene del caldo sono andato in giro per la città. Non per me ma per chi per aria, per mare e per terra sta sempre con la Repubblica, quella del Risorgimento e della Libertà riconquistata.

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