Governo
Parole, parole, parole
Chissà se avverrà mai che si usino le parole corrette per esprimersi, in questo paese. La lingua offre sempre trabocchetti inaspettati così come tradisce il pensiero invisibile di chi le pronuncia. I lapsus, è risaputo, sono spesso manifestazione proprio di quel pensiero nascosto, veicolo di informazioni che dicono molto di più della parola di cui hanno preso il posto.
Molte sono le parole in quest’ultimo periodo a essere sotto osservazione, anche perché è evidente la leggerezza con cui vengono pronunciate senza pensare o, forse, pensandoci troppo. Alcune risaltano per i molti significati e valenze storiche che si portano dietro, per come sono state utilizzate e soprattutto da chi.
Un paio di codeste parole, in questi ultimi giorni, rischiano di avere una certa rilevanza anche perché fanno parte del lessico di un ministero molto importante, fondamentale da sempre in qualsiasi governo, perché si occupa della formazione dei futuri cittadini e, declinato nel modo peggiore, della manipolazione delle loro menti e del carattere.
Codeste parole riempiono la bocca di chi le pronuncia con autocompiacimento, quasi esprimendo concetti come “ora che sono arrivato io, faccio vedere i sorci verdi a tutti”, espressione che si rifà, d’altro canto, all’epoca fascista, quella vera, oppure “non se ne poteva più del lassismo” e così via. Il lassismo, in effetti, ha generato mostri, arroganti politicanti che da stagisti o bibitari o boy scout si sono tramutati in rottamatori, creando solo problemi e niente di costruttivo. Infatti è grazie anche a questi personaggi da basso impero che siamo arrivati a un governo di estrema destra repressivo, arrogante e totalmente disinformato sul paese che si è ritrovato a gestire, supportato da elettori inconsapevoli o complici.
Torniamo alle parole. Le più gettonate sono proprio quelle sulle molteplici bocche del nuovo governo, “merito” e “umiliazione”. E vengono ripetute, come un mantra, come se pronunziandole si diventasse più belli, più presenti, più autentici: i veri rivoluzionari siamo noi che vogliamo veramente cambiare.
Il merito ormai l’hanno sviscerato fin dal primo giorno in cui fu concepito nella mente del signor Giorgia Meloni, grande assertore di qualcosa che, secondo colui, si deve meritare. Però forse c’è da aggiungere qualcosa sulle sfumature che la parola “merito” diffonde intorno a sé. E che va d’accordissimo coll’altra: “umiliazione”. Chi non merita verrà umiliato, forse, o, magari c’è anche chi merita un’umiliazione. La mancanza di conoscenza della lingua, oltre che per l’IA di cui parlavo l’altro ieri, è abbastanza grave per chi codesta lingua dovrebbe in qualche modo difenderla e divulgarla attraverso l’istruzione.
Piuttosto che “prima gli italiani” bisognerebbe urlare “prima l’italiano!”, a cominciare dalle poltrone più in vista, perché mi pare che i begli esempi che sono stati dati non depongano a favore dei nuovi insediati, dall’ “inpiegato” e dall’ “ìndica” (indicativo presente di “indicare” anziché “indìca” congiuntivo presente di “indire”) del signor Fontana (ah, i congiuntivi…), all’ “umiliazione” del signor Valditara.
Ma non funziona nemmeno se poi ci si scusa per dire che per “umiliazione” s’intendeva “umiltà”, nell’accezione secondo la cristiana dichiarazione d’intenti di chi si professa tale, ossia di chi ha fatto propria la triade, tanto di moda presso il fascismo storico, Dio patria e famiglia. Ricordiamo, per amore di verità, che la nostra scuola non è religiosa ma laica, per Costituzione, e che quindi la triade non è valida. E che questa triade invece diventi invadente anche nell’istruzione, che si vorrebbe addirittura regionalizzata, con crocifissi appesi perfino nei cessi, forse, almeno nelle intenzioni di questi nuovi funzionari della Repubblica, lascia pensare piuttosto male.
Perché uno studente dovrebbe essere umiliato o umile di fronte agli errori? Certo, nemmeno lo studente che minaccia o deride il suo insegnante o quella che addirittura pesta la docente che l’ha bocciata va bene, anzi, ma lì non si tratterebbe di umiliazione bensì di provvedimento disciplinare, che sono cose ben diverse. Si confonde la scuola col riformatorio – dove quei ragazzi violenti dovrebbero stare – che è un istituto assai diverso dalla prima. Poco ci manca e si tornerà alle punizioni corporali del sistema didattico ottocentesco. Sarà significativo che l’Italia è tra i paesi dove le punizioni corporali sono proibite solamente a scuola mentre in ambito domestico no, come in Inghilterra solamente dal 1996 (!). Negli Stati Uniti, idolatrati come patria della democrazia, le percosse sono invece previste e legali sia a scuola che a casa, nella maggior parte del paese, soprattutto quella più arretrata e a vocazione repubblicana. Succede anche nella Corea del Sud e in molti altri paesi, dove questa violenza è la norma per qualsiasi manchevolezza da parte dello studente. In Ucraina, per esempio, non sono legali né a scuola né a casa e nemmeno in Tunisia, come d’altro canto nella maggior parte dell’Europa. In Russia a scuola no ma a casa sì, come in Italia. Forse l’Ucraina non è così indietro come si pensa.
Secondo il neo ministro dell’istruzione (e del merito, incluso nel titolo sgargiante) solo attraverso l’umiliazione si cresce, almeno a scuola. Senza minimamente colui, ossia il ministro, sentirsi umiliato di fronte all’improprio uso del termine che lui stesso ha fatto. Costui sembra, dalle apparenze, predicare male e razzolare peggio. Chissà che utilità può avere l’umiliazione per un ragazzo, di qualsiasi origine sociale, mandato a scuola per imparare, che inevitabilmente commette degli errori. L’errore va “stigmatizzato”, altro termine di origine pseudoreligiosa che abbiamo sentito utilizzare nelle alte sfere del governo, e quindi punito. È talmente generico che può includere tutto. Le trappole del linguaggio però, a chi lo conosce meglio di coloro che lo usano nell’empireo di Montecitorio, svelano la natura autoritaria e non autorevole degli intenti dei nuovi arrivati. I quali si sono subito presentati coi divieti di riunirsi oltre le sessanta persone. Ordine e disciplina.
Un ragazzo che viene umiliato, magari anche dileggiato da insegnante e compagni di classe, colle orecchie d’asino dietro la lavagna, quando posta su un treppiede e non appesa al muro, chissà che ricordo conserverà di questa umiliazione.
Un brutto voto non fa piacere a nessuno, certamente, però se si facesse comprendere all’allievo i suoi errori colle buone maniere e non con metodi che mostrano inequivocabilmente un’aggressività, forse sarebbe più costruttivo. Una delle forme di bullismo che si dovrebbe combattere. Ma questa destra è una destra di bulli, non passa giorno che non lo dimostrino.
Nei miei ricordi di bambino vivace affiora la memoria di una punizione dovuta al fatto di essermi nascosto nel giardino della scuola dopo la ricreazione, all’asilo. Fui messo dietro la lavagna perché me lo ricordassi ma io diedi un morso nel sedere alla suora, che era la severissima madre superiora, perché probabilmente mi parve un sopruso e anche perché il suo sederone era a portata della mia sete di giustizia. Cosa facevano i bambini all’asilo se non giocare, nei primi anni sessanta, e nascondino era uno dei giochi infantili preferiti?
Ricordo anche come una certa insegnante di matematica del liceo si divertisse a ridicolizzare gli allievi meno inclini alla materia, i quali sentendosi umiliati davanti a tutti, rendevano sempre meno anziché capire i loro errori e rimediare. A quella insegnante sfuggiva il senso dell’insegnamento. Ad alcuni miei compagni lei piaceva, perché aveva la battuta facile, aveva simpatie per alcuni e antipatie per altri, cosa che un insegnante non dovrebbe mai mostrare perché fornisce un esempio deviato di comportamento. A me non garbava per niente. Inoltre, insegnava anche fisica sebbene lei la fisica proprio non la conoscesse e ricordo che certe sue spiegazioni della termodinamica risultavano abbastanza incomprensibili. Ci sarebbe stato bisogno di qualcuno che la umiliasse per le sue lacune ma nessuno degli allievi era in grado di sapere la fisica meglio dell’insegnante, altrimenti che ci si andava a fare a scuola se non per imparare?
Un’altra insegnante, alle medie, amava dileggiare chi non capiva il latino. Molto derivava dalla conoscenza di partenza dell’italiano e chi veniva da famiglie disagiate era meno attrezzato, parlando unicamente il dialetto. Infatti non otteneva niente da quegli allievi, se non un peggioramento. L’umiliazione non aiutava nessuno. L’umiltà, da parte di quegli insegnanti, avrebbe forse aiutato tutti, loro stessi per conseguire correttamente il loro mandato e gli allievi che con un altro approccio forse qualche miglioramento lo avrebbero avuto.
Io parlo di cinquant’anni fa, ossia quando andavo a scuola. Che nel 2022 il neo ministro e il neo presidente del consiglio dei ministri, tutto minuscolo perché le maiuscole, a proposito di merito, non le meritano, pensino all’istruzione in maniera così arcaica m’intristisce per vari motivi.
Io non ho figli e quindi non mi pongo il problema dell’istruzione per i miei discendenti. Mi pongo però il problema dei miei futuri interlocutori, in qualsiasi campo, perché quando mi troverò davanti un giovane che ha frequentato le scuole moderne secondo i nuovi criteri sono cosciente che potrebbero sorgere dei problemi di comprensione e di approccio alla realtà.
Per fortuna non tutti gli insegnanti sono come li vorrebbero Meloni e Valditara e sicuramente ci sarà un filtro alle parole sconsiderate dei due. Ma la linea principale del ministero farà, come è sempre successo, anche in seguito alle riforme dei precedenti ministri della pubblica distruzione, tante vittime. L’abbandono scolastico così accentuato, soprattutto al sud, è uno dei sintomi che il malato sta veramente male. Per come è progettata attualmente la scuola, gli insegnanti possono fare davvero poco. E non è solo un problema d’impostazione scolastica, perché un progetto sulla carta ha il valore che può avere una scartoffia. Se un progetto funziona lo si vede nella realtà, va inserito in quei contesti dove sono realmente le scuole e considerando che tipo di allievi arrivano in quelle scuole. Spesso i disagi sociali si amplificano quando non c’è più il guscio della famiglia, che sia positivo o negativo. A volte il guscio proprio non c’è, quando i genitori e magari anche i fratelli o le sorelle maggiori sono impiegati della malavita, come avviene in molti quartieri urbani disagiati. La scuola potrebbe rivelarsi un rifugio per alcuni di loro ma ci vorrà chi capisca la situazione e i ragazzi e li sorregga, non chi li umilii. È normale che chi non abbia familiarità colla lingua, soprattutto, magari anche perché straniero, abbia più difficoltà a imparare, ma non sarà coll’umiliazione che si risolveranno i problemi. Ma, forse, sia il ministro sia il presidente del consiglio non hanno coscienza di tutto ciò e vivono in una bolla dal raggio di dieci centimetri. E, forse, insieme ai problemi che la scuola di oggi pone, bisognerebbe avere consapevolezza di com’è formata l’attuale società. Gli schemi deamicisiani, dove Franti è sempre il perdente, sono vecchi di due secoli così come lo è il premio, e quindi il merito, che spettava al marchesino Eufemio (da G.G. Belli, 1791-1863), d’alto lignaggio, per aver tradotto “esercito distrutto” con “exercitus lardi” e che asseriva, con voce ferma e signoril coraggio, che cuggino si scrive con due g come paggio e maggio. Sembra la storia del presidente della camera attuale, che scrive inpiegato colla n. Si può dire che sono tutti un po’ superati? Basta guardarli e, soprattutto, sentirli parlare. Mi pregio di ricordare che costoro non fanno beneficenza ma ricevono un lauto stipendio e mille privilegi pagati dall’intera comunità, da chi li ha votati e anche da chi non li ha votati.
Questa voglia di rigore, di apparente ritorno all’ordine, proprio da chi in passato ha governato nei governi di destra, che poi sono i Berlusconi da I a IV, e dove c’erano molte persone che stanno nel governo attuale, e che hanno contribuito considerevolmente al disordine in cui ci troviamo attualmente, è il fumo negli occhi dell’elettore disinformato che crede che costoro rigoverneranno le stoviglie sporche. L’elettore medio ha pochissima memoria, forse zero memoria, per ricordare che quelle stoviglie sono state sporcate proprio dagli attuali presunti ripulitori. La disinformazione è il problema più evidente, certo, ma quello più grosso è rappresentato dalla mancanza di un’opposizione seria e dialogante colla gente e, forse, con molti scheletri negli armadi. E quel 38% di elettori astenuti, stufi dell’arroganza e dell’infantilismo del potere, si allargherà.
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