Governo
Omnia vincit Salvini: per parlare alla pancia bisogna parlare con la pancia
La nostra è una repubblica parlamentare, non ci piove. Il che suggerirebbe una possibile transizione da una maggioranza a un’altra, qualora ce ne fosse l’occasione, senza passare per nuove elezioni. Se poi tale passaggio, principi costituzionali a parte e date le attuali condizioni, sia più o meno opportuno sotto il profilo politico, è tutt’altro discorso.
Gli ultimi sondaggi registrati, infatti, raccoglierebbero un orientamento dell’opinione pubblica piuttosto ostile rispetto a un simile scenario e il rischio che l’eventuale neomaggioranza non rispecchi il paese reale, proponendosi nella percezione dei più come un goffo stratagemma di palazzo per salvaguardare le poltrone, è alto.
Tuttavia, nel regime di destoricizzazione del tempo in cui ci troviamo, contraddistinto da una concezione leggerina del passato e da un voto globalmente destrutturato, forse, sarebbe ancor più rischioso l’affidarsi con tanto zelo alla composizione momentanea del consenso.
In primis, per l’estrema fluidità della medesima. In secondo luogo, perché tale criterio, se dovesse davvero far scuola, comporterebbe, in futuro, un sostanziale abbassarsi della longevità media dei governi – già sin troppo in ostaggio dei sondaggi per quanto concerne la propria azione politica –, con conseguenze inimmaginabili.
Possibile parafrasi polemica del detrattore: paura delle urne?
Il nostro ragionamento ne prescinde. Ma, lo confessiamo, ne abbiamo parecchia. E ne abbiamo parecchia perché Matteo Salvini sa perfettamente che lo scoattare fascistoide gli dona.
In pratica, più fa il bullo intransigente con la Madonna in tasca e più cresce nei sondaggi: il suo è il modello comunicativo trionfatore, dicono; al “popolo” piace la sua veracità spaccona. Resta da capire, almeno per noi, se sia questo tipo di comunicazione a essere efficace di per sé o se sia l’uditorio di riferimento a essere definitivamente avvelenato.
Così come resta da capire se l’istrionismo imbarazzante – imbarazzante per noi minoritari, è ovvio – esibito nel bel mezzo della parlamentarizzazione della crisi sia figlio del solito marketing elettorale oppure dell’apnea.
Cosa abbiamo visto: tra un rosario baciato a più riprese (come si usa fare in Calabria per mandare segnali in codice, gli hanno ricordato) e una citazione virgiliana in traduzione libera (con licenza populistica), l’inesprimibile nulla.
Un “omnia vincit amor” buttato lì apparentemente a cazzo, ma solo apparentemente eh, proprio da lui, l’antibuonista dalla schiena dritta nemico dei professoroni, scopertosi all’improvviso tra il virgiliano e il fricchettonico. Probabilmente durante una puntata del gioco aperitivo al Papeete Beach: classica epifania da sdraio…
E poi Renzi, Travaglio e Saviano. Ancora. Tanti nemici, tanta confusione. Un ammasso sconclusionato di svolazzi sloganistici, i soliti, e nessuna risposta nel merito sulla questione delle dietrologie da vodka-tonic, sebbene sollecitata. Questione non esattamente secondaria per chi si definisce sovranista.
Il tutto ingigantito dalla cornice. Non quella di un comizio o di un lido, per una volta, ma di un’aula parlamentare, sorda e grigia, si dirà.
A nostro modestissimo avviso, una pochezza politica e comunicativa disarmante, la solita, in grado di conferire immediata autorevolezza, nonché credibilità, a qualsiasi oratore limitrofo. Conte e Renzi, a confronto, ci è sembrato giganteggiassero per spessore oratorio.
Ebbene, sarà proprio costui, il Capitano delle mozioni di sfiducia cavalcate e ritirate a velocità supersonica e di altri molteplici “errori” di grammatica istituzionale, a governare l’Italia? Vedremo.
Intanto, un Conte tirato a lucido, dedito a un discorso di commiato molto prossimo a un discorso di insediamento e zeppo di stoccate impronosticabili all’indirizzo del suo ex ministro dell’Interno, farebbe pensare il contrario.
E se al dissociarsi postumo del premier dimissionario, giudicato “comodo” come un cuscino di swing da una buona fetta di commentatori, uniamo la palese apertura renziana e la voglia di “andare verso la vita” di un nutrito segmento pentastelliano, l’opzione “voto autunnale” sembra davvero allontanarsi.
A meno che la comunicazione salviniana, la “Bestia”, non decida di spingersi al culmine della ferina aggressività, sostituendo gli slogan con rutti e peti. Situazione in cui i sondaggi a favore schizzerebbero, le elezioni diverrebbero inevitabili e noi tutti ci troveremmo a sperimentare sulla nostra pelle uno degli episodi inediti più riusciti di Black Mirror.
Conclusione: la differenza, in termini di successo, tra Pirro e Alessandro, per Machiavelli, la fece la fortuna. Al giorno d’oggi, invece, basta un’abnorme emissione di aria ben assestata proveniente dall’apparato gastrointestinale per ottenere un ingresso in pompa magna nella storia. D’altronde, per parlare alla pancia non c’è modo migliore del parlare con la pancia.
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